Bracerì a Pietrasanta: tutte le sfumature della carne

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La carne in cucina va molto di moda, a partire dalla semplice “braciata” in allegria, passando per i ristoranti che fanno “la bistecca buona”, per arrivare a chi sa applicare le tecniche più sofisticate dell’arte del barbecue, e il passaparola corre frenetico cercando di selezionare le mete per possibili scorribande, fra luoghi consolidati e nuovi locali che nascono come funghi. Ma dietro l’angolo c’è il rischio saturazione: perché se è vero che le diversificazioni alimentari e gastronomiche sempre più diffuse pare non riescano a scalfire la primitiva e ancestrale passione per la “ciccia” arrosto, c’è comunque il rischio che la “bolla” si sgonfi e che l’interesse anche un po’ modaiolo scemi. Per questo, chi sa fare il ristoratore e sceglie comunque di battere questa strada sa che deve guardare avanti, e deve distinguersi. Una concetto che al Bracerì di Pietrasanta, sembrano avere ben chiaro.

Il cuore di questa elegante cittadina della provincia di Lucca,  sovrastata dalle Alpi Apuane e a due passi da celebri spiagge, è la preziosa piazza dominata dal duomo intitolato San Martino, ma su cui si affaccia anche la bella Sant’Agostino sede di mostre e del museo dei bozzetti delle opere dei tanti artisti che hanno scelto di lavorare in questa che è considerata a ragione una “piccola Atene” della Toscana. E poi ci sono le vie parallele che la attraversano, lungo le quali sciamano i turisti, numerosi tutto l’anno, voraci consumatori di vetrine e di locali. Una di queste è via dei Piastroni e qui si aprono le porte di Bracerì.

Si entra in un ambiente che trasmette subito calore grazie alle pietre a vista delle pareti e ai mattoncini delle volte a crociera, ribaditi nella sala che si sviluppa in lunghezza su due piani separati da un piccolo dislivello. Qui si muove con sicurezza e garbo il direttore Fabrizio Valsecchi, figlio di cuoco, tanti anni a fare la spola fra la Brianza e Milano per poi trasferirsi in quella Versilia già conosciuta negli anni grazie a una casa di vacanze.

E se si mangia non solo ma soprattutto carne la parola d’ordine è, come già detto, distinguersi aprendo gli orizzonti e valicando frontiere, ma al tempo stesso battendo il territorio nazionale. Oppure mescolando le carte, come avviene per il black angus da allevamento biologico italiano, che costituisce il vero perno del menu attraverso i suoi tagli e dopo una frollatura di 30 giorni.  Dell’angus “italiano” assaggiamo un estratto della degustazione di tartare (citata anche in un grande dipinto) in cui sono protagoniste anche le decise guarnizioni, a base di aceto balsamico e parmigiano reggiano, di perle di tartufo nero di Norcia (sferificato), e di cipolla di Tropea. Poi, il succulento e morbido rib eye, quello che i francesi chiamano entrecôte , che proviene da una parte del costato in cui i muscoli sono poco utilizzati, dalla straordinaria marezzatura e con il caratteristico “occhio” di grasso al centro, e la picanha (il “codone”), accomunati da una cottura su pietra lavica per un miglior controllo della temperatura.

 

 

E poi, nel menu la razza wagyu australiana si alterna ad un angus del Nebraska e alla spagnola vaca blanca gallega, oltre alle  migliori razze italiane, dalla maremmana alla marchigiana per costate o fiorentine e, se si vuole optare per il maiale, si trova quello di razza iberica. Affascinante capitolo a parte quello dedicato alle “vacche vecchie“: abbiamo assaggiato quella giapponese che è straordinaria, vellutata, con i sapori spostati sui registri dolci lontani alle sapidità a cui siamo abituati.

Per “spezzare”, degli efficaci Cappellacci di pasta “40 tuorli” fatta in casa al pecorino toscano e (in stagione) accompagnati da scaglie di tartufo, e per concludere una gustosa interpretazione del Tiramisu, con un cuore caldo di cioccolato e caffè. Interessante e ampia la carta dei vini.

Bracerì
Via dei Piastroni, 66 – Pietrasanta (LU)
Tel. 3500730501
www.braceri.it

Riccardo Farchioni

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