Luigi Boveri e i Colli Tortonesi: una passione di famiglia lunga più di 30 anni

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Per l’ennesima volta è una bella storia di famiglia a catturare la mia attenzione, di quelle che riempiono d’orgoglio il panorama enoico nazionale. Ci troviamo a 30 minuti da Milano, 45 da Genova e 1 ora da Torino, esattamente in frazione Montale Celli del comune di Costa Vescovato, in provincia di Alessandria, sui Colli Tortonesi per intenderci, un territorio vitivinicolo ormai più che affermato.

La sua affermazione la si deve all’intuito di alcuni noti personaggi, tra cui la famiglia Boveri, che oltre trent’anni fa hanno scritto la storia di queste colline dove il timorasso, vitigno autoctono a bacca bianca, si è imposto all’attenzione del grande pubblico per la sua personalità e per il suo potenziale evolutivo.

Amo questo bianco piemontese, soprattutto a distanza di almeno 3-5 anni dalla vendemmia. A differenza del Cortese, dunque del Gavi, altro grandissimo vino della provincia di Alessandria, il Timorasso nei suoi primi anni di vita è impegnato a stemperare naturalmente tutta la “potenza” dei suoli da cui prende vita; un’esuberanza di struttura che deriva anche dal DNA del vitigno, ma questo lo vedremo in seguito, ora è tempo di parlare di Luigi Boveri e della storia della sua famiglia.

Il 1992 è il primo anno da prendere in considerazione: l’azienda agricola di Costa Vescovato, di proprietà della famiglia Boveri, produce vino, cereali e foraggio dalla seconda metà del Settecento. Fu proprio Luigi a rivoluzionarne i modi e di conseguenza parte della produzione. Queste le sue parole: “Alla fine degli anni Ottanta, appena ventiquattrenne e già fidanzato con Germana, feci un’esperienza in una grande azienda di consulenza agraria che mi cambiò la vita. Capii che dovevamo specializzarci nella produzione vinicola, che il vento stava cambiando nel mondo del vino e non potevano più produrre anche cereali e foraggio”.

Non bisogna dimenticare che il nostro protagonista ebbe un coraggio non indifferente, considerando il periodo storico: lavorare la terra era un affare poco redditizio, inoltre l’enologia italiana usciva danneggiata dallo scandalo del metanolo. Nonostante ciò le parole di Luigi sono chiare ed inequivocabili: “A mio avviso in quel periodo venne segnata una riga tra il prima e il dopo. Da quegli anni è cominciata l’enologia che piace a me, quella dei vignaioli. Non il vino del “contadino”, malfatto, non solo quello industriale. Iniziava una nuova era: quella del vino prodotto da un artigiano della terra”.

Tornando al 1992, Luigi, coadiuvato dall’instancabile impegno di sua moglie Germana, dà vita alla prima etichetta: un Cortese prodotto in sole 2000 bottiglie chiamato Vigna del Prete. Lavora ancora per un anno come consulente, tuttavia il richiamo della terra diventa troppo forte e decide di licenziarsi. Le persone a quei tempi lo presero per matto, eccetto la moglie Germana che finanziò parte dell’impresa, e suo padre, Leopoldo, che ha trasmesso al figlio doti di coraggio e visione d’insieme. Quest’ultimo, soltanto a titolo d’esempio, si era già dimostrato un innovatore: è sua la prima pigiadiraspatrice della zona negli anni Cinquanta.

Inizialmente Luigi si affida ad un enologo langarolo, e ricorda così quel periodo: “Ogni 15 giorni andavo da lui, ma non parlavamo dei miei vini, perché mi diceva che non ero ancora pronto. Così mi faceva assaggiare le migliori etichette di Langa e di Francia. Sono stati momenti preziosi, dove ho imparato tantissimo e soprattutto ho capito dove volevo andare”. Ascoltando parlare Luigi, l’ho incontrato più volte in passato anche in diverse manifestazioni dedicate al mondo del vino, traspare sempre un’energia che è tale soltanto in quelle persone che nella vita hanno lottato ogni momento per realizzare il proprio sogno. Un traguardo raggiunto nonostante mille cicatrici segnate dal tempo e gli ostacoli incontrati lungo il cammino. Con estrema soddisfazione aggiunge: “Sono passati trent’anni di storia aziendale in un baleno: è cambiata enormemente la nostra realtà, assieme a quella dei Colli Tortonesi, oggi sempre più apprezzati in Italia e all’estero”.

Ai giorni nostri, oltre alla moglie Germana Ciccotti “senza la quale nulla sarebbe stato possibile”, anche i figli Francesco, Matteo e Sara, la seconda giovane generazione, si affacciano al mondo del vino spinti da una lunga tradizione familiare che non deve andar persa. Non bastano determinazione, spirito di sacrificio e talento per realizzare grandi vini, occorre anche un territorio vocato e un cavallo di razza. La famiglia Boveri lo sa molto bene, e a tal riguardo ha puntato tutto sui Colli Tortonesi e sul Timorasso – ma non solo – in un’epoca in cui la zona dell’alessandrino veniva descritta come la “Cenerentola” della regione.

In realtà, storicamente, la città di Tortona, chiamata anticamente Dertona, è sempre stata un’importante zona di confine che ha visto l’alternarsi di diverse civiltà. Considerata stazione di posta lungo la Via Postumia, determinava un’importante arteria commerciale. Intorno al 120 a.C fu eletta colonia romana, d’altronde la sua posizione strategica la portò presto a diventare una tra le più importanti vie di comunicazione: la via Postumia (da Aquileia a Genova), la via Fulvia (da Pollenzo, un tempo Pollentia) e la via Aemilia Scauri (Vado Ligure, nome antico Vada Sabatia) attraverso l’odierna Acqui Terme, chiamata anche Aquae Statiellae.

Tra il 40 e il 30 a.C. Augusto la elesse per la seconda volta colonia: ribattezzata Julia Dertona, fece parte della Regio IX Liguria. La caduta dell’Impero Romano determinò il suo lento declino. Non è un caso che ai giorni nostri la menzione Derthona, lo afferma il Consorzio tutela vini Colli Tortonesi – ha l’onere di promuovere e salvaguardare i vini del territorio per arrivare a una maggiore salvaguardia e riconoscibilità del nostro prodotto, che da anni aumenta in modo esponenziale la propria visibilità e autorevolezza all’interno dei nostri confini e fuori di essi –.

Il tempo ha dato ragione all’intuito di Luigi, che oggi è al timone di un’azienda composta da 28 ettari vitati, di cui 10 di proprietà, su terreni così suddivisi: 18 ettari a bacca rossa e 10 a bacca bianca. Vengono allevati col sistema a guyot, su terreni argilloso calcarei (70%) e marnoso calcarei (30%), i classici vitigni autoctoni del territorio: barbera (13 ha), bonarda (2 ha), dolcetto (2 ha), croatina (1 ha). Tutti i vini prodotti da queste uve prendono il nome dei vigneti: Vignalunga, Poggio delle Amarene, Boccanera e Cassasa.

Nei 10 ettari consacrati alle uve bianche troviamo il timorasso (6 ha), il cortese (3 ha) e il moscato (1 ha). I terreni in questo caso sono per l’80% marnoso-calcarei e per il 20% argillo-calcarei. Gli appezzamenti sono suddivisi su tre comuni: Costa Vescovato, con la maggior estensione vitata, più di un ettaro a Carezzano, paese da cui proviene Luigi Boveri, e cinque ettari a Villamagnano. I tre borghi sono confinanti, spesso ci si sposta da una vigna all’altra senza accorgersi di cambiare comune.

Volendo ulteriormente approfondire la geologia del territorio, è corretto asserire che le vigne di Luigi Boveri insistono su due macro-tipologie di suoli. In direzione sud sud-ovest, verso la Liguria, sono marnoso-calcareo-tufacei, caratterizzati dalle cosiddette terre bianche. L’altra quota, pari al 40 % delle vigne, è posta su terreni antichissimi dove ad esempio è possibile trovare reperti fossili quali conchiglie, provenienti da fondali marini risalenti a millenni orsono; da qui si spiega la grande sapidità dei vini dei Colli Tortonesi.

Cambiando direzione: nord-nord-ovest e nord-est, il terreno possiede una matrice calcarea-argillosa denominata terra scura; la stessa rappresenta il 60% del corpo vitato aziendale. Un terreno generatosi da profondi rimescolamenti avvenuti nel corso di millenni forma così la cosiddetta terra argillosa di collina, molto diffusa nel tortonese e nell’alessandrino. Come ogni grande terroir che si rispetti, suddette tipologie di terreno variano sensibilmente non solo di vigna in vigna, ma di filare in filare; lo studio delle parcelle è molto importante da queste parti. Un esempio su tutti, ovvero una vigna dove si incontrano la terra chiara e la terra scura, in un gioco di colorazioni in grado di dar vita a scenari quasi surreali in termini di bellezza paesaggistica, soprattutto in estate, quando la terra è asciutta. La produzione ai giorni nostri si attesta attorno alle 90.000 bottiglie annue. Di seguito il mio punto di vista su quattro etichette specifiche della gamma: due bianchi e due rossi.

Colli Tortonesi Timorasso Derthona 2021

La prima annata è stata prodotta nel 2005. Uve 100% timorasso, affina 12 mesi in autoclave sulle fecce nobili periodicamente agitate; imbottigliato, riposa un ulteriore anno in bottiglia. Paglierino caldo, vivace, squaderna sentori che vanno dall’albicocca all’agrume candito, dal miele millefiori alle erbe aromatiche (timo, maggiorana) e pietra focaia, financo calcare. In buon equilibrio tra rotondità e freschezza, l’impronta salina in questa fase prevarica ma è del tutto normale considerando la grande mineralità del suolo. Rombo al forno con patate al rosmarino e aglio fresco.

Colli Tortonesi Timorasso Derthona Filari di Timorasso 2021

La prima annata è stata prodotta nel 1997. Uve 100% timorasso, affinamento in autoclave per circa un anno con bâtonnage, i successivi 12 mesi riposa in bottiglia. Paglierino intenso, trama vivace, si muove lentamente all’interno del calice. Timbro olfattivo piuttosto marcato, è un vino ricco di sfumature che cambiano di continuo: pesca nettarina, nespola, tamarindo e una spezia dolce, sinuosa, presto “rinfrescata” da un corredo balsamico di estrema vitalità; il finale è appannaggio del miele di acacia, lieve il richiamo agli idrocarburi, sentore che diverrà protagonista con l’invecchiamento. In bocca il vino mostra tutta la sua potenza, sapidità, e nonostante i 15,5 % vol. scorre piacevolmente catturando i recettori del gusto senza in nessun modo saturarli. La freschezza è l’arma vincente, proprio per questo convince appieno e rimane incollato al palato per diversi minuti. Pesce spada alla griglia con pomodori Pachino confit.

Colli Tortonesi Barbera Poggio delle Amarene 2021

La prima annata è stata prodotta nel 1997. Uve 100% barbera, affinamento in botti di cemento vetrificato per circa 12 mesi più un anno in bottiglia. Rubino vibrante in termini di luminosità, estratto medio. Il respiro è intenso ed è la frutta matura ad avere la meglio: amarena, ribes nero, spezie orientali e liquirizia, ricordi di grafite e soffi balsamici in chiusura. Riempie il palato grazie ad un corpo rotondo in linea con la profondità del sorso; il tannino risulta ancora un po’ nervoso tuttavia è più che normale stiamo parlando di un vino praticamente in fasce con grandi doti di bevibilità. Piacevolissimo anche ad una temperatura di 14°. Tagliatelle al ragù di fassona.

Colli Tortonesi Croatina Sensazioni 2021

La prima annata è stata prodotta nel 2006. Uve 100% croatina, affina in tonneaux per un anno. Rubino caldo, fitto ed impenetrabile, buon estratto. Ricordi vinosi e un floreale che sa di garofano, il frutto è maturo e cambia registro di continuo passando abilmente dalla prugna al mirtillo, soprattutto il succo. Con lenta ossigenazione rimandi terrosi e una lieve tostatura derivata dal legno, quest’ultima ancora non del tutto integrata alla materia. Ne bevo un sorso e vengo letteralmente catapultato in una dimensione di piacevolezza ed estremo garbo, un vino che richiama inesorabilmente merende sontuose a base di salumi, formaggi e torte salate di vario genere.

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Crediti fotografici, escluso foto bottiglie, DeaDue.

Foto bottiglie di Danila Atzeni.

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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