Cosa ci riserva il futuro

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Qualche sera fa, nel corso di un incontro di approfondimento, abbiamo provato a rispondere ad alcuni interrogativi universali dell’umanità: chi siamo? da dove veniamo? esiste una dimensione ultraterrena? sconfiggeremo le malattie, ripudieremo per sempre la guerra? sarà possibile per l’Uomo*, in un lontano futuro, tornare a comprare i vini di Borgogna?

Tutte domande di carattere vertiginoso, che non hanno risposte assolute ma che sottendono una tensione infinita verso la verità. Personalmente credo in un avvenire libero dall’angoscia delle malattie e della guerra, ma non in un mondo di scaffali pieni di Borgogna acquistabili.

Il Borgogna è un’astrazione, uno stato mentale allucinatorio, una memoria nostalgica del passato. È un richiamo struggente del quale non riusciamo a liberarci, un Eldorado immateriale. Ma non è più qui.

I più informati diranno: “attenzione, i prezzi stanno calando”. Vero, verissimo. Un La Tâche 1999 non si compra più a 10.000 euro, ma a 8.000; uno Chambolle Les Amoureuses di Mugnier 2019 non più a 3.500 euro ma a 2.900. Che bello! Ma allora siamo a cavallo!

E diranno pure: “ci sono decine e decine di ottime bottiglie a prezzi accessibili, nel Mâconnais o nella Côte Chalonnaise, o anche in Côte de Nuits, basta cercarle.” Non scherziamo. Qui parlo della Borgogna monumentale, quella dei Grand Cru e dei Premier Cru di altissimo livello. Di quella Borgogna. E di quella Borgogna abbiamo potuto, per una sera, cogliere non soltanto il profumo, ma anche assaporare il gusto, grazie alle preziose bottiglie provenienti dalla collezione di Giancarlo Marino, detto il magister burgundiae.

Nella splendida cornice (in legno) del Ristorante Taverna Cestia in Roma, un pugno di fortunati, tra i quali lo scrivente, ha avuto accesso ad alcuni dei rarefatti rossi di Cecile Tremblay, vignaiola ormai riassorbita nel mito, sebbene anagraficamente e produttivamente ancora relativamente giovane. Per quella idiosincrasia crescente che nutro negli ultimi anni verso la cosiddetta enografia – tutto l’armamentario di nozioni su terroir, vitigni, sistemi di allevamento, eccetera – rimando il lettore alle numerose pagine web che riguardano il suo lavoro.

Qui mi interessa mettere in rilievo lo stile dei suoi vini, che nel corso dell’ultimo decennio ha trovato una definizione di rara compiutezza.
I rossi di Tremblay non sono in media vini diafani, mostrano anzi una certa generosità estrattiva. Li definisco rarefatti perché la loro trama tannica, pur fitta per i parametri medi della regione, è impalpabile. Il loro pregio maggiore per me sta proprio nella cosiddetta finezza tannica.  Essendo inavvicinabili, ahinoi, come costo finale, è stata quindi un’occasione unica.  Ho preso qualche appunto mentale, che trascrivo in modo disordinato qui.

Bourgogne 2017
Davvero impressionante per essere un “semplice” Bourgogne. Flessuoso, slanciato, dolce (ma non zuccherino, eh) nel frutto. Delizioso

Morey-St-Denis Très Girard 2017
Delicato nel tocco ma robusto nell’architettura, maturo nel frutto, lievemente marqué par l’elevage appena aperto, ma in pochi minuti di trasparente espressività.

Chambolle Musigny Les Cabottes 2019
Finalmente uno Chambolle che fa lo Chambolle, ovvero il fine tra i fini: sottile ma non esile, floreale, soffuso, infiltrante. Magnifico

Vosne-Romanée Vieilles Vignes 2019
Uno dei più timidi nello sviluppo olfattivo sulle prime, con il passare del tempo ha acquistato una precisione aromatica micrometrica. Succoso, ampio, generoso, più “largo” degli altri e dal frutto quasi confinante con la surmaturazione (ma tenendosene ben distinto).

Vosne-Romanée Les Rouges du Dessus 2013
Il più datato della batteria, quindi il più naturalmente evoluto, ma ben dritto sulle sue gambe. Peculiari note ferrose, ematiche, ne distinguono il profilo dagli altri. Grintoso, sapido, incisivo.

Chapelle Chambertin 2017
Il vino più emozionante del gruppo, e non c’erano molti dubbi preventivi che lo fosse. Di quintessenziale delicatezza, arioso, luminosissimo. Un ricamo che quasi non tocca il palato, ma resta in sospensione, come un pulviscolo iridescente.
Che vino amisci, avrebbe detto il vecchio Altafini.

* e per la Donna, naturellement

Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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