Proposta vini: i quarant’anni di un’importante distribuzione

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Sin da quando ho iniziato a frequentare l’ambiente enoico (oramai è passato un po’ di tempo), le degustazioni più divertenti cui ho avuto occasione di presenziare sono state quelle dei distributori rivolte al pubblico professionale. Oggettivamente, almeno inizialmente, non ne facevo parte, ma ho spesso trovato il modo di imbucarmi, a pieno titolo. Il come è un piccolo segreto che preferisco tenere per me, hai visto mai possa di nuovo tornare utile…

Questi eventi sono quanto mai sfiziosi per un complesso di ragioni: le aziende presenti sono selezionate a monte, all’atto della loro inclusione nel catalogo di riferimento, e si può così supporre che la qualità diffusa sia superiore alla media. Inoltre i produttori sono quasi sempre fisicamente presenti, e ovviamente ben disposti a raccontare il loro lavoro a potenziali clienti (oltre che a proporre anche quelle etichette che magari di solito rimangono nascoste sotto il tavolo…); pertanto l’esperienza non si limita a una mera degustazione, per quanto gradevole possa essere, ma si tramuta in una serie di incisive lectio magistralis sui vini cui ci si approccia.

E infine, last but not least, per l’enoappassionato la vera chicca è la varietà dei potenziali assaggi a disposizione: gli eventi organizzati dai consorzi di tutela, oppure a livello locale (riprendendo la tradizione delle feste post-vendemmia, nelle quali si beveva il “vino novo”), o ancora dalle associazioni di sommelier a scopo istituzionale-divulgativo, sono tutti necessariamente monotematici (o quasi). Al contrario, le degustazioni dei distributori sono praticamente onnicomprensive, almeno quanto articolato la ditta sceglie di avere il proprio catalogo.

E così si può svolazzare come gentil farfalla in un campo fiorito, trascorrendo da un rosso ambizioso ad altro più beverino, da un bianco succoso a una bollicina piacevolmente nervosa, per poi magari spezzare con un vino dolce per ripagare le mucose dai tannini troppo insistenti.

Ovviamente non mancano le controindicazioni: la potenziale saturazione gustativa; la confusione a volte ai limiti del tollerabile; talvolta la pratica impossibilità di confrontarsi con le referenze più blasonate, tale e tanta è la ressa di fronte alle loro postazioni. Vedi alcune aziende/tipologie di tendenza, oppure, ça va sans dire, lo Champagne, sempre irraggiungibile per la calca, come se chi lo agogna con il bicchiere teso non volesse perdersi l’unica botta di vita dell’anno solare, e quella brillante effervescenza gli fosse sempre, altrimenti, negata.

Inoltre, corre l’obbligo di prendere in qualche modo nota degli assaggi. Stanti quantità e varietà di questo estemporaneo paese del Bengodi enoico, è utile prepararsi la degustazione in anticipo, consultando il catalogo in rete e compiendo scelte dolorose ma necessarie: provare TUTTO è fuori questione, come fuori questione è rispettare diligentemente il proprio carnet disciplinatamente predisposto: troppe le tentazioni.

Così c’è chi prende certosinamente appunti, chi si è inventato un sistema di simboli per valutare sinteticamente i vini, pochi (per fortuna…) viaggiano con un blocco di schede di degustazione che compilano per filo e per segno per ogni referenza (!); altri si avvalgono degli ultimi derivati della tecnologia: programmi di riconoscimento vocale per trascrivere note prese a voce, o anche recentissimi block notes collegabili in rete che possono direttamente (s)caricare gli appunti presi brevi manu, oppure più semplicemente uno smartphone con cui immortalare l’immagine di quell’etichetta il cui ricordo si vuole conservare.

Va da sé che ogni catalogo di distributore ha la sua specifica caratterizzazione. Chi si specializza in vitigni autoctoni, chi in aziende familiari, chi su denominazioni teoricamente più facilmente vendibili, chi su vini esteri; poi c’è sempre qualcuno che si assume l’onore/onere di rappresentare e promuovere vini dell’universo biologico/biodinamico/naturale, ecc., ammesso e non concesso che sia chiara la definizione di TUTTI questi termini, da che sussiste tuttora un ampio margine di discrezionalità.

Sto scrivendo in treno, di ritorno da una trasferta in quel di Parma per uno di questi eventi, anzi, quello che si sta avviando a divenire per certi aspetti il più sfizioso, ovvero la presentazione nazionale del catalogo del distributore Proposta Vini.

La ricorrenza del quarantennale dell’attività è stata l’occasione per un approfondimento dell’impostazione commerciale e metodologica dell’impresa, anche tramite una conferenza stampa organizzata a beneficio di coloro che si erano accreditati, incluso il sottoscritto (il mio periodo naive è passato da un po’). Sin dalla sua nascita, Proposta Vini ha tentato di organizzare un catalogo con un’impostazione ben definita, lavorando con produttori che avevano il diretto controllo della terra da cui nasceva il loro prodotto.

Il che a livello pratico spesso ha significato piccole aziende familiari, non di rado di notevole qualità proprio per il legame imprescindibile che avevano stabilito con il loro territorio, ma che contemporaneamente difettavano degli strumenti affinché a detta qualità corrispondesse il successo di vendita. I responsabili della rete agenti e i marketing manager erano ancora di là da venire, e la necessaria interfaccia con la propria clientela esulava dalle possibilità di produttori, che nell’anima rimanevano profondamente contadini.

Era una situazione ben nota a Proposta Vini, sin da suoi primi momenti anch’essa azienda familiare a pieno titolo. Non al caso al timone rimane saldamente il fondatore Giampaolo Girardi, mentre sta assumendo sempre maggiori responsabilità la seconda generazione, rappresentata dal figlio Andrea. L’empatia con le aspettative e i sogni di tutti coloro che entravano a far parte del catalogo ha condotto il distributore a specializzarsi in una serie di servizi di cui in certa misura può dirsi un antesignano. In primis l’estensione capillare della rete di vendita, a partire dal natio Trentino, per successivamente allargarsi, a piccoli passi ben ponderati, a tutto il territorio nazionale, con imminenti aperture all’estero, già in divenire. In secondo luogo, implementare l’efficienza della filiera commerciale con la più ampia duttilità. Assicurare la puntualità delle consegne in giorni predeterminati, per ordini anche minimali (inclusa singole bottiglie per referenza!). Può sembrare un piccolo passo, ma in realtà non è scontato nemmeno oggi, e quarant’anni fa costituiva una rivoluzione epocale.

Questi obiettivi funzionali sono stati perseguiti su una scala sempre più vasta. Di clientela (adesso 12.000 in Italia), di numero di aziende in catalogo (350 tra produttori di vino e di distillati), che adesso copre ogni recesso enoico del territorio nazionale, senza dimenticare chicche estere di non facile reperibilità.

Così, per il cliente professionale curioso delle possibilità di allargare la propria offerta, o per il sottoscritto di una volta che frequentava la degustazione alla scoperta di novità, la onnicomprensiva varietà di proposte di Proposta Vini (il bisticcio è voluto) al momento non conosce paragoni: vini a DOC di cui si è solo udito parlare in qualche dimenticata lezione di un corso sommelier, qui si trovano; vitigni rari sopravvissuti solo per la testarda passione di qualche vignaiolo tradizionalista e/o baciato dal sacro fuoco, eccoli qua; ecc. ecc.

Attenzione: ciò non significa che tutto quanto sia buono e interessante, poiché in cotanta diversità non tutto può piacere allo stesso modo. Ma a livello di degustazione, vale ciò che John Dos Passos scrisse una volta di New York: “se non ti diverti qua, non riuscirai a divertirti da nessuna parte (!)”.

Sarebbe comunque parziale, o peggio pretestuoso, limitare il carattere del lavoro di Proposta Vini a una spasmodica ricerca del “famolo strano” enoico. L’impressione è che al di là dell’impostazione commerciale, che pure conta, la dirigenza concepisca il rapporto consolidato con realtà anche minuscole come una sorta di missione. E’ come se l’efficienza di una relazione funzionale che tecnicamente si comporta come una simbiosi, (tu produttore salvaguardi il tuo territorio esaltandone e promuovendone le peculiarità con i tuoi vini, ed io distributore mi avvalgo di questo approccio per garantirci il successo sui mercati) non fosse al 100% sufficiente, ma occorresse coronarla con un passo ulteriore. Con un investimento per il futuro in patrimoni botanici, agrari, economici, storici e sociali, di biodiversità e potenziale sostenibilità ma non solo, da preservare nell’unico modo possibile: farli conoscere non come sterile oggetto di laboratorio, bensì come realtà dinamiche e vitali, propedeutiche a ulteriori, futuri successi commerciali; che sostanziano il genius loci di molte splendide, impagabili e misconosciute Italie, degne di essere conosciute, e godute nel bicchiere.

Alludo a una serie di progetti a tema, portati avanti con l’imprescindibile collaborazione dei vignaioli, atti a donare nuova vita a prodotti che possiamo eufemisticamente definire “inconsueti”. Tra questi alcuni sono divenuti nel frattempo di moda, e molti ne rivendicano la primogenitura. Senza entrare nel merito, che la cosa andrebbe al di là delle nostre conoscenze, è un fatto che in ambito Proposta Vini la coincidenza di intenti tra aziende vinicole e distributore si sia sostanziata in progetti che sono anche piani di impresa che si auto-alimentano con il loro stesso successo sui mercati: delle “missioni ideali” sì, ma anche remunerative. E in questo non c’è assolutamente niente di male.

Un lavoro sistematico in tal senso su spumanti da vitigni autoctoni, vini da vigne a piede franco e/o centenarie, originati da viticoltura eroica, o ancora naturali/biodinamici ecc. (in questo caso con una serie di univoche condizioni auto-specificate al fine di distinguere quali prodotti ricadano in queste definizioni) non è nuovo, e spesso se non lo è dipende proprio da quanto è cominciato in questa sede in tempi non sospetti. Più peculiare il tributo pagato al natio Trentino con il progetto Vini dell’Angelo, inerente al recupero, alla propagazione e commercializzazione dei prodotti delle varietà coltivate nell’ex Tirolo italiano fino alla fine della Grande Guerra. In scala più ridotta il Blanc de Sers, in collaborazione con Casata Monfort, per l’areale ricompreso tra Serso e Viarago, presso Lavis. O anche i Cembrani d’Autore, volto ad analogo sforzo in merito ai vitigni storicamente presenti in Val di Cembra; o l’Eclettica Nosiola, per esplorare le talora sorprendenti interpretazioni di un’uva indebitamente percepita solo come sorgente di bianchi sottili e tutto sommato innocui.

Non finisce qua: se cambia la collocazione geografica, analogo è lo spirito che innerva i progetti attinenti ai Vini delle Isole Minori, ai Vini nelle Città Italiane (per i prodotti delle vigne collocate in ambito urbano), ai Vini Vulcanici (format tanto popolare quanto ancora inesplorato), e addirittura ai Vini delle Abbazie, con intriganti sconfinamenti all’estero fino ai monasteri delle Meteore in Grecia. Per ognuno di questi distinti contesti e tematiche, la distribuzione si è sempre assunta l’impegno di prendersi in carico le bottiglie prodotte nell’ambito di questi progetti di recupero, e di provvederne alla commercializzazione, così liberando le aziende da impegni ed incertezze in sede economica e normativa, preoccupazioni di aver investito il proprio denaro in una scommessa a rischio, di aver fatto un passo più lungo della gamba, e quant’altro.

Rileggendomi, mi rendo conto di come quanto scritto possa apparire un peloso panegirico dettato da piaggeria o da malcelato interesse. Così non è: il tono elogiativo dipende dal fatto che alla degustazione di Proposta Vini mi sono divertito come da tanto non mi capitava, e ho qui tentato di analizzare ed esporre le ragioni del perché.

Potrei a questo punto ragioneristicamente riportare le note di degustazione delle referenze che mi hanno intrigato di più: preferisco di no, poiché questa mia personalissima lista della spesa sarebbe comunque una selezione parziale tra molti assaggi, a loro volta per varie ragioni estrapolati tra molti altri, mancati, ma che avrebbero potuto essere altrettanto interessanti. La novità e il gusto della scoperta sono componenti imprescindibili della passione per il vino: alla fiera di Parma, alla kermesse di Proposta Vini, hanno trovato più di un motivo di soddisfazione.

Riccardo Margheri

Sono oramai una ventina d’anni che sto con il bicchiere in mano, per i motivi più disparati, tra i quali per fortuna non manca mai il piacere personale. Ogni calice mi pone una domanda, e anche se non riesco a rispondere di certo imparo qualcosa. Così quel calice cerco di raccontarlo, insegnando ai corsi sommelier Fisar, conducendo escursioni enoturistiche, nelle master class che ho l’onore di tenere per il Consorzio del Chianti Classico; per tacere delle mie riflessioni assai logorroiche che infestano le pagine web e cartacee, come quelle della Guida Vini Buoni d’Italia per la quale sono co-responsabile per la Toscana. Amo il Sangiovese, Il Riesling della Mosella, il Porto, ma non perdo mai occasione per accostarmi a tutto ciò che viene dall’altrove enoico. Vivo da solo e a casa non bevo vino, poiché per me il vino è condivisione: per fortuna mangio spesso fuori, in compagnia.

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