Il Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina presenta le perle del suo territorio

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Lo scorso 13 dicembre si è tenuto presso il Ristorante Identità Golose Milano di via Romagnosi, hub internazionale della gastronomia, un evento dedicato ai vini della Valtellina presentati dal Consorzio di Tutela omonimo. La serata ha visto la partecipazione del mondo Ho.Re.Ca. e quella di un folto numero di giornalisti. Erano presenti anche amanti del buon bere intenti a scoprire l’unicità del territorio valtellinese e le peculiarità dei cosiddetti vini di montagna, plasmati dal carattere di sua maestà nebbiolo, qui chiamato chiavennasca. Ad accompagnare la degustazione uno speciale abbinamento piatti realizzato da Edoardo Traverso, Executive Chef di Identità Golose Milano, studiato appositamente per esaltare le caratteristiche organolettiche dei vini della Valtellina.

La provincia di Sondrio è la protagonista indiscussa di questo antico territorio, noto per rappresentare la più vasta area terrazzata d’Italia, ricca di biodiversità e variabilità dal punto di vista geologico, morfologico e climatico. Quella che possiamo considerare a tutti gli effetti viticoltura eroica, nella sua infinita unicità, funge anche da strumento di attrazione turistica. Da queste parti i terrazzamenti costituiti dai classici muretti a secco, Patrimonio Unesco dal 2018, rendono il paesaggio incantato, fiabesco.

Danilo Drocco, Presidente del Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina, tra i tanti dettagli forniti a livello storico e culturale pone l’accento anche sui traguardi conseguiti. Questo antico ed affascinante fazzoletto di terra lombarda, ad esempio, è stato riconosciuto anche dalla guida Lonely Planet del 2023 con un’attenzione particolare alla “Strada del Vino della Valtellina”. Un progetto nato per raccontare in maniera giovane e immediata le eccellenze vitivinicole del territorio con passeggiate tra vigne, terrazzamenti e panorami mozzafiato. La Valtellina è dunque un angolo lombardo di struggente bellezza.

L’area è corrispondente al bacino idrico del fiume Adda a monte del lago di Como, e assieme alla Valchiavenna forma la provincia di Sondrio, che con la Punta Perrucchetti, alta 4.020 metri e appartenente al Massiccio del Bernina, raggiunge la massima altitudine della regione. Sono molteplici gli elementi da analizzare al fine di comprendere l’unicità di questa particolare regione vitivinicola, pur tuttavia è possibile sintetizzare racchiudendoli all’interno di un mosaico composto da elementi naturali. In primis le Alpi, con il loro clima di montagna, le notevoli escursioni termiche, la brezza proveniente dal Lago di Como e infine le tante ore di sole. Non tutto è rose e fiori, basti pensare al fattore determinante “ore di lavoro per ettaro”: se in Piemonte ne bastano in media 330, fra queste colline pseudo montane ne occorrono 1200. Le pendenze, in media pari al 30%, non facilitano il compito ai vignaioli tanto che da queste parti la cosiddetta viticoltura eroica ha ragion d’essere. Quest’ultima, al pari della coltivazione delle patate o delle mele, è nata per motivi di sussistenza e non certo per moda o peggio ancora speculazione; ma la vigna è ancora più antica, si parla d’epoca carolingia (750- 987 d.C.).

Tutte queste caratteristiche danno vita a un territorio particolarmente vocato dove il nebbiolo è libero di esprimersi al meglio. L’ironia della sorte vuole che il re dei vitigni piemontesi raggiunga proprio in Valtellina, a mio avviso, vette di finezza ed eleganza difficilmente replicabili. Alludo soprattutto ai suoi profumi ammalianti che virano quasi sempre sulla croccantezza dei frutti rossi e l’eleganza dei fiori freschi, oltre al fascino ipnotico delle erbe alpine. Un tannino quasi sempre dolce, addomesticato, e una lunga scia sapida in tandem con la freschezza.

In Valtellina il Nebbiolo possiede soprattutto una grande beva, che amo definire “simpaticamente pericolosa”. Un’armonia che si ritrova poi nel bicchiere: dalle sempre più richieste bollicine Metodo Classico a base nebbiolo o pignola valtellinese, al Rosso di Valtellina e Valtellina Superiore, concludendo il viaggio attraverso lo Sforzato, o Sfursat, uno dei vini simbolo del territorio. Quest’ultimo viene prodotto mediante la tecnica dell’appassimento delle uve nebbiolo sui graticci, e racconta la storia di antiche tradizioni legate visceralmente alla gente del luogo.

Il Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina è stato fondato nel 1976. Da sempre persegue diversi obbiettivi, tra cui proteggere e valorizzare la tipicità della viticoltura delle proprie colline. Nel 1997 è stato ampiamente rinnovato. Oggi vanta il primato di essere l’unico consorzio italiano a possedere due DOCG coincidenti per territorio e vitigno: Valtellina Superiore e Sforzato di Valtellina, e rappresenta la quasi totalità delle aziende vinicole presenti all’interno dell’areale, un areale che conta circa 820 ettari ed è suddiviso in 5 sottozone ben distinte, ognuna con le proprie peculiarità, che si susseguono da ovest verso est: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella.

La matrice del terreno è principalmente di tipo sabbioso, tuttavia, per carpirne realmente l’essenza, bisogna fare un salto nel passato. Durante il periodo del ritiro dei ghiacciai, che coprivano interamente la regione, i rilievi si sono formati per via dello sfaldamento delle rocce granitiche. Il terreno è dunque di tipo permeabile, particolarmente indicato alla coltivazione della vite. I ristagni d’acqua sono rari e, nonostante il cambiamento climatico che ha coinvolto alcune annate – soprattutto recenti –, è piuttosto difficile che in Valtellina la vite soffra di stress idrico. C’è un motivo particolare: le radici, in special modo quelle della chiavennasca, sono in grado di attraversare la roccia anche per 5/6 metri in profondità; così facendo riescono a trovare l’acqua, fonte di nutrimento per la pianta.

Sua maestà nebbiolo è il protagonista indiscusso con oltre il 90% dei ceppi nei vigneti ricadenti nelle zone riconosciute a produzione e denominazione DOC e DOCG; inoltre nei nuovi reimpianti è possibile trovarlo al 100%. Esistono tuttavia altre varietà: la pignola valtellinese, la rossola nera e la brugnola, cultivar della tradizione presenti in percentuale variabile dal 5 al 10%.

Veniamo dunque alla lunga carrellata di vini che ho avuto la possibilità di assaggiare durante questa piacevole serata meneghina.

Alpi Retiche Metodo Classico Extra Brut 2019, La Perla di Marco Triacca
Paglierino molto chiaro, il pérlage è ben eseguito. Naso intenso di pera e pesca bianca, litchi e una scia minerale continua. Tanta freschezza, succo; una piacevole nota ammandorlata in chiusura amplifica ancor più la bevibilità del vino.

Alpi Retiche Metodo Classico Brut Novantanove, La Spia
Paglierino algido, bollicine fini e persistenti. Un accenno ai lieviti e alla classica frutta dolce sciroppata, mandorla tostata e lieve smalto. In bocca risulta ben bilanciato tra doti di freschezza e sapidità, anche se il frutto “dolce” si fa sentire un po’ troppo.

Metodo Classico Brut Rosé, Rainoldi
Rosa cerasuolo con riflessi rame – cipolla, pérlage incisivo e ben eseguito. Intenso di fragolina di bosco, ciliegia croccante e violetta, in chiusura frolla/lieviti. Sorso suadente, riempie il palato ma a mio avviso manca della freschezza necessaria a rendere la beva irresistibile. Gastronomico.

Breve inciso. Per evitare di ripetermi circa la parte cromatica del vino, è corretto asserire che il Nebbiolo in Valtellina assume tonalità rubino-granata con riflessi ciclamino in giovane età, per poi virare sensibilmente verso il granata pieno con riflessi arancio-mattone, soprattutto a distanza di anni.

Valtellina Superiore Nebbiolo Essenza 2018, Tenuta Scerscé
Amarena e le classiche spezie dei dolci natalizi del Nord Europa, incenso e grafite; in chiusura una piacevole nota floreale di viola appassita. Media struttura e profondità, la freschezza risulta in leggero ritardo sulla sapidità che a prescindere conquista la scena. Finale piuttosto dolce e sinuoso.

Rosso di Valtellina 2022, Marco Ferrari
Una vera rivelazione, almeno per me. Tra i migliori della serata, non vi è alcun dubbio. Respiro intenso e al contempo garbato grazie a un mix di frutti rossi (agrume e rovo), erbe alpine, pietra frantumata, cosmesi e pennellate floreali “dipinte a mano”. Il palato non si discosta poi molto quanto a classe e sobrietà. Inizialmente teso come un arco, rivela tutta la sua classe grazie a una progressione pressoché infinita e un centro bocca dove freschezza e sapidità convergono in totale simbiosi. Un grande vino che mostra il potenziale della Valtellina, soprattutto in termini di austerità ed eleganza.

Rosso di Valtellina 2022, Bastiàn Cuntràri
Bel fiore immacolato, puro, e frutti rossi che ricordano il ribes e il mirtillo, ma anche liquirizia dolce, timo e pepe del Sichuan. Il tannino è praticamente ricamato a mano e la freschezza travolge letteralmente, supportata da una materia di tutto rispetto e priva di qualsivoglia scorciatoia. Lunghissimo.

Rosso di Valtellina 2022, AR.PE.PE.
Toni floreali estremamente freschi, viola e geranio selvatico, ma anche timo e rabarbaro; sfumature sottili che evolvono e si fondono magistralmente con il comparto fruttato. Quest’ultimo è rappresentato dai frutti di rovo, arancia rossa sanguinella e melograno su refoli speziati in chiusura. Ne assaggio un sorso e la sua energia è vibrante, inserita all’interno di un corpo medio e rincalzata da una sapidità che cattura i recettori del gusto. Un grande classico che convince ogni anno.

Rosso di Valtellina 2021, Alberto Marsetti
Respiro intenso e slanciato: fa pensare ai frutti estivi tra cui pesca noce e susina rossa, ma anche all’anguria e all’agrume dolce. La parte floreale si fonde con quella speziata, prevale la pulizia degli aromi, la leggiadria intrinseca che incanta. Indubbiamente il palato completa l’insieme. Un sorso che appaga perché totalmente privo d’alcol percepito, caratterizzato da un tannino elegante, dolce, e da un finale di bocca privo di sbavature, di grande coerenza.

Rosso di Valtellina 2020, Riter
Nonostante l’ossigenazione, che ho prolungato apposta, fatica a divincolarsi dai classici aromi conferiti dal legno. Ci riesce parzialmente allorché suggestioni di erbe officinali, grafite e un frutto piuttosto maturo fanno capolino. Anche in bocca la tostatura è un po’ troppo evidente e il timbro fatica ad imporsi.

Rosso di Valtellina Scintilla 2019, La Grazia
Cupo e piuttosto compatto al naso. Con lenta ossigenazione affiorano ricordi di incenso ed erbe officinali, viola e una coltre balsamica ben fusa alla grafite. Indubbiamente sapido, ben calibrata la parte tannica; la freschezza latita un po’ e nella parte finale il vino si siede a vantaggio di una morbidezza che ben accompagna la buona tavola.

Valtellina Superiore Inferno 2020, Triacca
Al naso ritrovo un vino poco espressivo nonostante abbia atteso circa mezz’ora prima di trascrivere le mie impressioni. Il timbro fatica ad imporsi, riconosco un frutto maturo che ricorda la ciliegia e qua e là note di incenso e terriccio bagnato. In bocca al contrario dispensa freschezza e slancio, anche se il finale risulta un po’ “dolce” e privo di progressione.

Valtellina Superiore Maroggia 2019, Agrilu
Quadro olfattivo accattivante e ricco di sfumature ipnotiche: frutti estivi maturi tra cui spicca l’anguria, ma anche paprika, violetta ed eucalipto; aromi ben fusi al comparto minerale in continua evoluzione. Originale a dir poco. La sapidità è travolgente ancor più della freschezza, che arriva in un secondo momento, ma quando ciò avviene questo chiavennasca diviene irresistibile. Bravi davvero.

Valtellina Superiore Valgella Vigna Fracia 2019, Nino Negri
Questa volta il ventaglio olfattivo è ricco, potente e variegato. Indubbiamente il cru in questione è in grado di fornire una materia prima che esce dai confini valtellinesi per raggiungere il Piemonte, terra di confine. Lo avvicino al naso e la parte minerale è protagonista: un mix fra pietra frantumata, terriccio umido e grafite, alleggeriti qua e là da ritorni balsamici – e fruttati – in costante richiamo al mentolo e all’amarena matura. Anche la spezia è suadente e incisiva. In bocca non risparmia colpi pur elargendo una beva dirompente e una sapidità che assicura un futuro più che roseo. Vino in divenire.

Valtellina Superiore Sentenza 2019, Il Gabbiano
Il frutto appare piuttosto maturo: amarena, susina, pepe rosa e note di cosmesi (rossetto) in un crescendo di suggestioni dolci e piuttosto ripetitive. In bocca è l’esatta fotocopia di quanto ho riscontrato al naso. Al di là di una sostanziale piacevolezza data dalla grande rotondità del sorso, fatica a spiccare il volo pur essendo privo di difetti tecnici; salvo una percezione alcolica forse un po’ troppo accentuata.

Valtellina Superiore Sassella Rupestre 2018, Cantina Menegola
Il suo lento respiro non concede attimi a chi non sa aspettare. A circa 20 minuti dalla mescita suggestioni di alloro, legni nobili ben fusi alla materia, confettura di ciliegie, noce moscata e grafite. Il palato risulta “grasso”, richiama il dolce del frutto a tratti rinfrescato da lampi di acidità piuttosto evanescenti. Al contrario la sapidità è incalzante, ed è responsabile del classico allungo finale. Un vino gastronomico che accompagna molto bene anche la cucina multietnica.

Valtellina Superiore Grumello 2013, Giorgio Gianatti
A distanza di undici anni dalla vendemmia questo vino, prodotto da uno dei più grandi interpreti del Grumello e della Valtellina a 360°, conquista subito la mia attenzione. Ritrovo il consueto comparto floreale dei vini di Giorgio, che in questo caso vira sulla viola/rosa rossa lievemente appassite; la freschezza dei frutti rossi è surreale così come il ricordo delle erbe officinali da grande amaro di montagna. Un sorso perfettamente bilanciato tra le varie componenti, che rendono il Grumello una reale perla enoica della Valtellina. Un vino eterno, perché eterno è il suo potenziale. Il migliore della rassegna.

Valtellina Superiore 2010, Le Strie
Profilo olfattivo complesso ed accattivante, diviso fra suggestioni di erbe di montagna ed effluvi minerali, che richiamano la roccia calda al sole. Quattordici anni dalla vendemmia e i toni floreali/fruttati risultano ancora freschi e stimolanti. L’annata è stata memorabile per carità, ma poche volte ricordo di aver bevuto Nebbioli di montagna – e includo altre aree vitivinicole simili – così espressivi. Anche il palato dispensa doti di leggiadria, ariosità, slancio e vigore, pur mantenendo un centro bocca e una densità gustativa notevoli.

Sforzato di Valtellina Nebbiolo Ronco del Picchio 2021, Sandro Fay
Un vino ancora rigorosamente in fasce. Il naso fatica a divincolarsi dall’estrema compattezza degli aromi, è difficilissimo coglierne le sfumature, salvo i ritorni fruttati di amarena, di cacao e liquirizia. Anche in bocca l’apporto del rovere è marcante. Il frutto arriva in un secondo momento, pur tuttavia non privo di slancio.

Sforzato di Valtellina Albareda 2019, Mamete Prevostini
Il respiro è intenso e il bouquet articolato. Nell’ordine: frutti di bosco in confettura, spezie dolci tra cui cannella, cacao e cardamomo e un finale stranamente ferroso, sanguigno oserei dire. Grande morbidezza al palato, supportata da una vena di acidità sottile e continua.

Sforzato di Valtellina Nebbiolo Infinito 2019, Tenuta Scerscé
Stranamente timido al naso, nonostante ampia ossigenazione. Toni autunnali equamente divisi tra il terriccio umido, i funghi secchi e ricordi di cacao, caffè e caucciù. In bocca prevale la densità, l’estratto – anche l’alcol se vogliamo – caratteristiche che ben accompagnano piatti sontuosi a base di carni in umido, ma berlo – come si suole dire – in totale “meditazione” risulta abbastanza difficile.

Sforzato di Valtellina Vino Sbagliato 2021, Dirupi
Nonostante la giovane età il vino non risparmia colpi. Alludo soprattutto all’eleganza dei suoi profumi e all’equilibrio gustativo. Ritrovo la viola appassita, la rosa rossa, il cardamomo e un dolce richiamo al cacao; aromi che ben presto lasciano spazio ad effluvi minerali di sottobosco e ad eleganti suggestioni balsamiche in continua evoluzione. La stessa musica la ritroviamo al palato: ricco, suadente, pieno di vitalità e dal tannino coeso. Avverto leggermente il legno in chiusura, ma la freschezza è sbalorditiva. Ottimo vino, che ha davanti a sé un grande futuro.

Sforzato di Valtellina 2018, Alfio Mozzi
Quello di Alfio Mozzi è il miglior Sforzato di Valtellina della serata. Il motivo è molto semplice: 16,5% Vol. effettivi, percepiti al massimo 13 e -credetemi- occorre una sensibilità straordinaria per realizzare tutto ciò con un vino ricavato da uve appassite. Ma c’è dell’altro. Anche al naso rimanda alle peculiarità della Valtellina: pennellate floreali oserei dire quasi “sepolcrali”, erbe officinali e un frutto per nulla esasperato; lontano anni luce dai classici toni di confettura. Chapeau bas!

Sforzato di Valtellina 2014, Le Strie
Le Strie riconferma ancora una volta la sua grande aderenza nei confronti del territorio valtellinese. Complice il prolungato affinamento, questo Sforzato danza in bocca regalando un sorso ben calibrato tra alcol, sapidità e un frutto ancora vivo e stimolante. Lo stesso che in parte è responsabile della freschezza intrinseca del vino. Lunghissimo, potente, ma senza mai appesantire o saturare i recettori del gusto.

Sforzato di Valtellina Solstizio 2013, Balgera
La bottiglia purtroppo ha mostrato qualche problema, mi riprometto di assaggiarlo nuovamente in cantina durante uno dei miei prossimi tour in Valtellina.

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Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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