Gironi Divini 2019: una bella foto dell’Abruzzo enologico e… una riflessione sui “vini tecnici”

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Da sette anni ho il piacere di organizzare, insieme agli amici della Live Communication, Gironi Divini, un piccolo evento dedicato al vino d’Abruzzo. Quando dico “piccolo” pecco forse di eccessiva modestia, visto che quest’anno erano rappresentate ben 49 aziende vinicole da tutta la regione, con oltre 300 etichette distribuite nelle tre giorni della manifestazione, a cui aggiungere uno spazio ad hoc riservato al vino ospite, il Cesanese del Lazio (qui i dettagli per i più curiosi www.gironidivini.it ). Avendo però la fortuna di girare molto per eventi del genere, riconosco che tante cose potrebbero e dovrebbero essere migliorate, e quindi ci teniamo il “piccolo” come incoraggiamento a fare sempre meglio!

Dovete sapere che a Gironi Divini ogni anno si assegna un riconoscimento al miglior vino della manifestazione, nelle tre categorie bianchi, rosati e rossi. Il premio “Vino di Dante”, perché, come era forse già chiaro dal nome, l’evento prende spunto dal legame del paese di Tagliacozzo – splendido borgo di montagna nell’entroterra aquilano, mèta di un nutrito turismo capitolino – con la figura del sommo poeta (che lo cita in un canto dell’Inferno a riguardo dell’omonima battaglia). Un piccolo (di nuovo!) concorso, un gioco direi, ma che ha una bella rilevanza mediatica, visto che la Live Communication si fa in quattro per diffonderlo, sia attraverso canali proprietari, che con un bel lavoro di ufficio stampa (qui una prova www.ansa.it).

La selezione dei vini in concorso è stata fatta in primis dalle aziende, che, potendo indicare una sola preferenza, hanno deciso di loro spontanea volontà quale vino presentare e in quale tipologia. A questi sono state aggiunte alcune referenze meritevoli (per storia o per risultati recenti) di essere sottoposti a una prima “scrematura” fatta da una giuria tecnica. Le cose si sono svolte con lo stesso rigore e professionalità di quella che si trova nei più grandi concorsi internazionali (e quindi blind tasting, scheda voto individuale, calcolo dei punteggi in scala centesimale, ricomposizione matematica degli estremi, etc etc). Chi scrive si è astenuto dal voto, coordinando i lavori e riservandosi, come nei tornei di tennis, qualche “wild card” (poche) per inserire in finale dei vini che gli erano particolarmente piaciuti durante i ripetuti assaggi effettuati nei mesi precedenti.

I migliori prodotti d’ogni categoria – comunque premiati con la Corona d’Alloro d’Oro – sono stati riassaggiati in una finale pubblica, svolta alla presenza di tanti appassionati e produttori nello spettacolare contesto del ristorante Giardino Resta (luogo che da solo vale la visita – ndr). Stavolta a contare è stato il giudizio edonistico e di pancia del pubblico iscritto, che ha assegnato, al più votato, il titolo di “Vino di Dante 2019”: un riscontro interessante, perché ti fa riflettere sulla coerenza, o sullo scollamento, tra giudizio tecnico e giudizio del bevitore medio.

Ora, l’attacco più facile che si riceve in queste situazioni è “il pubblico capisce poco, premia i vini più ruffiani e costruiti, vincono sempre i soliti noti, non viene rispettata la storia e la tradizione, etc etc“. Ora – a parte il fatto che il pubblico è quello che poi il vino lo compra e lo beve e quindi un qualche straccio di indicazione utile, se io fossi un produttore, me la terrei cara – è inevitabile che in un contesto comparativo del genere ci siano vini più “predisposti” a ben figurare, a fare più facile presa sul bevitore comune, a sedurre e conquistare subito… Ma questa è necessariamente una colpa? Lo è, a mio avviso, quando il vino in questione rinnega la sua origine, il suo vitigno, il suo territorio di appartenenza, per fare la caricatura a modelli internazionali preconfezionati e artefatti. Ma se il vino – anche se frutto di una lavorazione molto tecnica e “moderna” – è oggettivamente e indubitabilmente buono, perché non deve essere premiato?

Se è un vino perfetto dal punto di vista organolettico, frutto di un processo produttivo attento e rigoroso, in cui comunque si riconosce il vitigno, cosa ha fatto di male? Anche se, e lo sappiamo, è un vino tirato in poche migliaia di bottiglie, in maniera un po’ “furbetta”, proprio per ben figurare in situazioni del genere. E allora? Se è buono è buono! Punto. Sarà che mi sono stufato dei tanti perbenisti del bicchiere che bevono schifezze immonde solo perché sono “nature”…per me il vino è vino, e lo bevo e valuto a prescindere, basandomi solo su quello che trovo nel calice. Se poi, oltre a essere buono, ha anche un sincero e vissuto approccio “naturale”, allora mi inchino!

Vi lascio alla lista dei vini premiati e a qualche breve riga di commento personale. L’elenco rispetta l’ordine di preferenza del pubblico, ma riporta a fianco tra parentesi il punteggio medio della giuria tecnica, in modo da poter fare un confronto. E come vedete, il giudizio del pubblico non si è discostato poi così tanto da quello degli addetti ai lavori…


CATEGORIA VINI BIANCHI D’ABRUZZO

Qui il Pecorino Shamàn è stato primo per entrambe le commissioni. In teoria, ha tutti i pretesti per essere “sotto attacco”. L’azienda è un investimento di una società che viene dal mondo delle TLC, fa del marketing e del packaging un punto di forza, sta aprendo dei negozi monomarca in Italia (Pescara centro) e all’estero (mi dicono anche in Cina), porta avanti un approccio biodinamico che contrasta un po’ con tutto il resto…insomma, qualche dubbio potrebbe venire (i miei li fugherò con una prossima visita in azienda). Però questo Pecorino è davvero eccellente! L’ho provato tre volte quest’anno, e in tre contesti diversi, ed è sempre uscito alla grandissima! Che vi devo dire?


1) Pecorino Shamàn  2015 – Rosarubra (87.5)

2) Pecorino Il Feuduccio 2018 – Il Feuduccio (86.2)

3) Moscato bianco Fontegrotta 2018 – Tenuta Secolo IX (wild card)

4) Trebbiano d’Abruzzo Castellum Vetus 2016 – Centorame (wild card)

5) Pecorino Castello di Semivicoli 2018 – Masciarelli (86.3)

6) Pecorino Fosso Cancelli 2015 – Ciavolich (wild card)

7) Pecorino Supergiulia 2017 – Cataldi Madonna (86.2)

8) Indio bianco 2018 – Cantine Bove (86.4)

9) Trebbiano d’Abruzzo Madonnella 2015 – Pasetti (86.2)

10) Pecorino 2018 – Tenuta I Fauri (85.7)

Altri vini che erano sopra la soglia degli 85 punti – e quindi più che raccomandati – ma che per limiti di posti non hanno trovato spazio in finale sono stati: Pecorino Valori 2018 – Pecorino L’Ariosa 2018 di Olivastri Tommaso – Pecorino Aspetta Primavera 2018 di Contesa – Pecorino Yamada 2018 di Zaccagnini 


CATEGORIA VINI ROSATI D’ABRUZZO

Qui scorrendo la classifica si trovano ai primi posti alcuni dei Cerasuoli più tipici e ben fatti in circolazione. Tra l’altro in apparente contraddizione con l’introduzione generale di questo articolo. Sono infatti prodotti tradizionali, senza nulla di artefatto, interpreti sinceri di questa tipologia di vino. La sorpresa è stata proprio vedere come il pubblico abbia premiato vini in teoria più “difficili” rispetto ad altri, sempre ben fatti, ma di stampo più moderno.

1) Cerasuolo d’Abruzzo, 2018 – Buccicatino (wild card)

2) Cerasuolo d’Abruzzo Fontecupa 2018 – Montori (85.7)

3) Cerasuolo d’Abruzzo Rosa-ae 2018 – Torre dei Beati (wild card)

4) Cerasuolo d’Abruzzo Cerano 2018 – Pientrantonj (85.0)

5) Cerasuolo d’Abruzzo Solarèa 2018 – Agriverde (85.4)

6) Cerasuolo d’Abruzzo Geminus 2018 – Monteselva (85.0)

7) Cerasuolo d’Abruzzo Sassello 2018 – De Antoniis (85.2)

8) Cerasuolo d’Abruzzo 2018 – Tre Gemme (85.3)

Altri vini che erano sopra la soglia degli 85 punti – e quindi più che raccomandati – ma che per limiti di posti non hanno trovato spazio in finale sono stati: Hedòs 2018 Cantina Tollo – Cerasuolo 2018 Cataldi Madonna

CATEGORIA VINI ROSSI D’ABRUZZO

Qui il livello medio era davvero alto e la soglia di sbarramento per la finale è stata posta a ben 89/100 ! Per la giuria tecnica il migliore era l’Ipnosi di Biagi, vino già pluripremiato in contesti ben più noti. Alla fine, con il voto popolare, l’ha spuntata per una manciata di voti l’Enisio di Tocco, che era entrato in finale con l’ultimo posto. Di nuovo vino “attaccabile” sulla carta: tecnico, frutto di un progetto nuovo, impostazione moderna, quello che volete…anche qui però è la terza volta che lo provo e la terza volta che esce non bene, ma benissimo! Certo, personalmente ho preferito la classicità affascinante del Pignotto, o la potenza controllata del Mastrobono, o infine l’eleganza del vino di Guardiani Farchione, azienda storica per nulla mediatica e che meriterebbe maggior attenzione. Però l’Enisio è Montepulciano serio e fatto a regola d’arte. Punto.

1) Montepulciano Riserva Enisio 2014 – Tocco vini

2) Montepulciano dogc Pignotto 2010 – Monti

3) Montepulciano Tenuta del Ceppete 74 2013 – Guardiani Farchione

4) Montepulciano docg Riserva Mastrobono 2010 – La Quercia

5) Montepulciano docg Ipnosi 2013 – Biagi

6) Montepulciano Riserva 2013 – Di Sipio

7) Montepulciano Selva Delle Mura Bio 2015 – Nic Tartaglia

8) Montepulciano I Vasari 2013 – Barba

9) Montepulciano docg Notari 2017 – Nicodemi

10) Montepulciano Filì 2011 – La Vinarte

Qui dovrei elencare tutti i vini delle altre aziende presenti, perché tutti dal buono all’ottimo e con punteggio medio superiore agli 86/100. Sopra 88 e a un filo dalla finale cito: Montepulciano Santinumi di Marchesi de Cordano – Montepulciano Castellum Vetus di Centorame – Montepulciano Pathernus di Cioti – Montepulciano Rosso N° di Tilli.

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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