Un viaggio in Wachau. Territorio, vini e interpreti sulle sponde del Danubio/1

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Si dice, con ragione, che non esiste pregiata zona vitivinicola che non abbia accanto a sé un grande fiume, il cui influsso è decisivo per le sorti di un terroir e del suo vino. Ebbene, se esiste, ed esiste indubbiamente, questa diretta corrispondenza, la Wachau è senz’altro in cima alla lista di questi luoghi baciati dalla dea natura: dal celebre valzer di Johann Strauss, 1866, al libro di Claudio Magris, 1998, non c’è persona che non conosca o non abbia mai sentito parlare del Danubio (Donau in tedesco), che con i suoi 2.869 chilometri è il secondo fiume più lungo del continente dopo il Volga, e il più lungo tra quelli navigabili dell’Unione Europea. Nasce in Germania, nella Foresta Nera, attraversa il cuore dell’Europa centrale e orientale – Austria, dove scorre per circa 350 chilometri, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Bulgaria, Romania (che ospita il 28,9% del suo bacino idrografico), Moldavia, Ucraina –, dove bagna alcune delle più importanti capitali della storia (Vienna, Bratislava, Budapest, Belgrado), e infine sfocia nel Mar Nero.

La grandezza, non solo enologica, della Wachau è peraltro inversamente proporzionale alla sua estensione: con 1350 ettari vitati è infatti non solo uno dei più piccoli distretti viticoli dello stato federato del Niederösterreich, o Bassa Austria, di cui è peraltro una delle mete turistiche più frequentate, ma anche dell’intera nazione. Situata tra Melk e Krems, questa incantevole vallata attraversata dal Danubio, conosciuta per la produzione dei suoi vini e delle sue albicocche (Marillen), è dal 2000 Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Le origini vitivinicole risalgono all’epoca romana e i primi documenti ufficiali appartengono al periodo carolingio (830 a.C.), ma fu senz’altro l’attività dei monaci medievali a segnare indelebilmente il paesaggio vitato: a loro si devono le coltivazioni terrazzate in collina, la costruzione dei muretti a secco, che ancora oggi delimitano i vigneti per circa 720 chilometri, e la notorietà di un vino che in quel periodo è conosciuto anche al di fuori dei confini austriaci.

La superficie dell’area è contenuta – sedici chilometri di percorso da Spitz a Dürnstein sulla riva sinistra del Danubio, dove sono ubicati i più prestigiosi cru e le più importanti cantine, unitamente alla parte che scorre sulla destra orografica del fiume da Oberarnsdorf a Mautern – quanto vario è l’aspetto climatico e complesso quello geologico.

Quest’ultimo è costituito da un’ampia varietà di gneiss (roccia metamorfica simile ai graniti, caratterizzata dalla presenza di feldspati associati a quarzi e minerali varî), presenti soprattutto sui rilievi più alti, tra cui l’ortogneiss o ortoscisto (gneiss derivati per metamorfismo da rocce eruttive), del quale fanno parte il Gföhler Gneiss, molto diffuso in Wachau (un orthogneiss migmatitico che si forma quando il granito è sottoposto a condizioni estreme di pressione e temperatura), e l’anfibolite (roccia metamorfica molto diffusa, di colore verde scuro o nerastro, con scistosità non molto accentuata); e il paragneiss (metamorfismo da rocce sedimentarie che presentano una distinta cristallinità e una tessitura marcatamente scistosa). A questi si aggiungono il löss, o loess, una roccia sedimentaria di color giallo chiaro, porosa e tenera, costituita da frammenti finissimi di quarzo, calcite, idrossidi di ferro e sostanze argillose trasportati e accumulati dal vento; e i depositi alluvionali del fiume (sabbia e ghiaia), soprattutto nei vigneti più vicini al Danubio, nella parte pianeggiante della denominazione.

La mescolanza tra il clima occidentale-atlantico e quello orientale-pannonico, che da est si estende come una lingua sulla Wachau, è un’altra peculiarità della zona. La confluenza tra il freddo delle foreste del Waldviertel a nord-ovest – masse d’aria che scorrono lungo piccole vallate di pietra e boschi note come Wachauer Gräben (“fosse tettoniche della Wachau”) – con l’aria calda che arriva a oriente dalla Pannonia, unita all’influenza mitigatrice delle acque del fiume, genera un clima continentale caratterizzato da forti escursioni termiche che influenzano positivamente le formazioni aromatiche delle due principali uve bianche del territorio: l’autoctono grüner veltliner, che occupa il 57% del territorio, e l’aristocratico riesling, coltivato in misura minoritaria (17%) quanto decisiva.

Dalla zona più fresca dello Spitzer Graben a ovest agli ambienti più caldi del Loibenberg a est, la Wachau, una delle più importanti e vocate zone del vino bianco internazionale, è scandita da spettacolari e aspre terrazze delimitate da muretti a secco che arrivano fino a 500 metri di altitudine dai 200 degli altopiani, frammentandosi in un puzzle di vigneti e sottozone. Uno scenario di viticoltura di montagna più che di collina.

La Vinea Wachau Nobilis Districtus – nome che risale all’epoca del Ministerialengeschlecht di Leuthold I von Kuenring (1243-1313), di cui Vinea Wachau utilizza lo storico sigillo come marchio –, ovvero l’associazione dei produttori locali (217 membri che coprono l’85% del territorio vitato) fondata il 17 agosto 1983 con l’intento di promuovere l’immagine e proteggere la tipicità dei vini della Wachau, ha creato nel 1984 tre esclusivi marchi riportati sull’etichetta dei vini – Steinfeder®, Federspiel® e Smaragd® – che identificano un vino bianco secco prodotto da uve raccolte a mano senza l’aggiunta di zucchero o influenza rilevabile del legno.

Le tre categorie sono ordinate con grado alcolico crescente: fino a un massimo dell’11,5% per lo Steinfeder, il bianco più delicato e disimpegnato, il cui il nome deriva dallo Steinfedergras, “stipa pennata”, un’erba profumata e, appunto, leggera come una piuma, che cresce tra le viti della Wachau; tra 11,5% e 12,5% per il Federspiel, che ha nel nome, “falconeria”, un omaggio all’antica attività venatoria locale; e un minimo del 12,5% per lo Smaragd, l’apice qualitativo della piramide, prodotto solo con le uve più mature e concentrate: il nome indica la lucertola color smeraldo, nota appunto come Smaragd, diffusa tra i vigneti terrazzati della Wachau.

Oltre al Codex, il rigoroso disciplinare di produzione, fiore all’occhiello di Vinea Wachau è il sito di consultazione gratuita www.vinea-wachau.at, disponibile anche in versione inglese, che è una mappatura sistematica di tutta l’area della Wachau dal punto di vista storico, pedologico, viticolo, produttivo, con schede di presentazione delle cantine e mappe, anche satellitari, di ogni singolo Ried (l’equivalente austriaco di Lage), o cru, di cui sono riportati tutte le principali informazioni storiche, tecniche, catastali, ecc. Un prezioso database a portata di click, con un’applicazione per smartphone o tablet che permette di identificare in loco e in tempo reale tutti i vigneti della zona.

Grazioso villaggio di poco più di millecinquecento abitanti, Spitz, enclave bavarese fino al 1504, ha origini medievali, come ancora testimoniano le rovine del duecentesco castello Hinterhaus, che domina dall’alto i vigneti locali, e della gotica Pfarrkirche St. Mauritius, dalle volte interne reticolate e dal particolare decentramento del coro rispetto alla navata centrale. Sopra il paese spicca il monte terrazzato del Burgberg, che da lontano sembra sorgere direttamente dalle rive del Danubio come il più classico dei landmarkt. Noto anche come 1000-Eimerberg, letteralmente “il monte dei mille secchi” (l’eimer era un contenitore della capienza di 56 litri e un tempo si pensava che in una buona annata l’intero monte arrivasse a produrre fino a 1000 eimer, ovvero 560 ettolitri di vino, da cui l’origine del nome), questo Ried ha una conformazione pedologica complessa.

Il 1000-Eimerberg propriamente detto, ovvero la parte frontale del rilievo dai pendii più ripidi e aridi, è composto da paragneiss e il cosiddetto “marmo di Wachau”, un’altra roccia metamorfica simile allo gneiss formata da rocce carbonatiche con un contenuto di argilla più elevato, che nel tempo hanno generato marmi di silicato con un alto contenuto di mica. La terra fine sopra la roccia madre è la più ricca di humus di tutti i terreni della Wachau. La parte posteriore del monte, unitamente ai vigneti nel centro cittadino, appartiene invece al Burgberg, diverso dal 1000-Eimerberg come i due lati di una moneta. L’impasto di strati calcarei, sabbiosi e marnosi offrono infatti una gamma di terreni più pesanti.

Di grande suggestione paesaggistica, nella parte più alta del villaggio di Spitz, è il piccolo anfiteatro del Singerriedel: poco più di otto ripidi ettari di strette terrazze delimitate da muretti a secco ed esposte a sud-ovest, con alcune delle vigne più impressionanti di tutta la denominazione. Anche qui il terreno è assai magro e poco profondo, tendenzialmente sabbioso, che nella parte più bassa alterna strati di mica scura a pallidi quarzi.

Inoltrandosi dal Burgberg verso Gut am Steg, Viessling ed Elsarn si imbocca verso ovest lo Spitzer Graben, una gola di sette chilometri di sole vigne montane e terrazzate che rappresenta il corridoio più freddo della Wachau per effetto delle correnti d’aria provenienti dal Waldviertel. Scorrono davanti allo sguardo i ripidi pendii dello Setzberg, dell’Offenberg, dello Zornberg, del Kalkofen, dello Schön, del Bruck e infine del Trenning.

A Viessling c’è la cantina HÖGL. Ci arrivo verso l’imbrunire. Lo spazio dove Josef Högl mi accoglie è un moderno edificio di cuspidi e trasparenze che si armonizzano con gli edifici storici senza intaccare l’ambiente circostante. Josef ha capelli corti castani e due simpatici baffi su un volto da vignaiolo schietto e sincero. Il padre Maximilian gestiva un’agricoltura mista e conferiva le uve al Domäne Wachau di Dürnstein, la più importante cantina cooperativa della zona. Josef ha lavorato da Prager per cinque anni prima di mettersi in proprio e produrre il suo primo vino nel 1979, un Grüner Veltliner. «La prima vasca l’ho comprata con i soldi guadagnati durante le vacanze e la nonna mi ha poi regalato la seconda». Parte con due ettari di vigna, che oggi sono diventati dieci, di cui otto lungo le accidentate pendenze del Graben: tre e mezzo sullo gneiss di granodiorite e anfibolite del Bruck, dove ha piantato soprattutto riesling, perché è più resistente alla siccità, e due e mezzo, suddivisi in ben cinquantasei terrazze, sul paragneiss dello Schön, il cui strato superficiale di argilla garantisce la riserva d’acqua di cui il grüner veltliner ha bisogno. Le altitudini più elevate di questo versante arrivano a 460 metri.

Il Grüner Veltliner Federspiel Ried Schön 2018 ha colore paglierino brillante, un bel naso minerale di scaglie pietrose, un palato polposo e vibrante, teso, con sapidità crescente, agrume sottocutaneo, note di pietra focaia ed echi più erbacei nel finale, citrini senza essere vegetali. Un cristallo minerale limpido come acqua di roccia.

Il Grüner Veltliner Smaragd Schön 2018 ha speculare aspetto intenso e brillante, profumi di montagna, di graniti, di pietra focaia, di lieve affumicatura. Il palato è maturo, pieno, di bella maturità e definizione.

Ancora più profonda e ricca la versione Alte Parzellen (“vecchie parcelle”) dello stesso Ried, che arriva da vecchie terrazze sparse sullo Schön dai trenta ai sessant’anni di età. Così il Grüner Veltliner Smaragd Schön Alte Parzellen 2018 ha tagli variegati di erbe al naso (riduzioni erbacee, note di erba tagliata) con sentori di focaia pronti a uscire, e un palato succoso, pieno, invitante, maturo.

Quello dell’anno precedente, il Grüner Veltliner Smaragd Schön Alte Parzellen 2017, ha sempre colore paglierino intenso e brillante, ed affianca alle note di erbe una freschezza più agrumata e nervosa, e un palato maturo e dinamico, con note di menta ed erba fresca che si aprono a ventaglio, e una vibrazione minerale che oltrepassa il velo di glicerina tipica del vitigno. «Il 2018 si avvicina più al consumatore medio, mentre il 2017 è per palati più fini», commenta Josef.

Non meno intensi e interessanti sono i Veltliner che arrivano fuori dallo Spitzer Graben. Il Grüner Veltliner Smaragd Ried 1000-Eimerberg 2018, dal leggendario cru di Spitz, ha colore paglierino ancora più intenso, un olfatto profumato di erbe e spezie naturali, una polpa piena al palato, che è caldo, maturo, equilibrato, senza tuttavia essere sfumato.

Il Grüner Veltliner Smaragd J&G Ried Kaiserberg 2018 proviene da vigne di cinquant’anni prese in affitto dal 2012 in una parte del cru Kaiserberg di Dürnstein, dove si ipotizza che l’imperatore Carlo Magno stanziò il suo accampamento alla vigilia della guerra contro gli Avari della Pannonia. Il sottosuolo del Kaiserberg è formato da anfiboliti. Il vino matura in botte grande ed è il frutto del lavoro congiunto di Josef con un altro Giuseppe, l’enologo Niedermayr, un vecchio amico di famiglia da sempre innamorato del vino italiano (da cui le due iniziali poste in etichetta). Ha colore paglierino intenso, profumi di erbe tagliate, riduzione minerale, e un palato pieno, modulato, continuo, fresco-acido, con allungo saporito.

Nelle varie interpretazioni di Veltliner che si susseguono c’è spazio anche per il Grüner Veltliner Freigeist 2017, tre mesi di macerazione sulle bucce in una botte da 500 litri, non filtrato. Colore paglierino intenso e velato. Tripudio di agrume, con sfumature di zenzero. Palato succoso, citrino, tanto agrumato, con arioso finale di pompelmo e buccia di lime.

I Riesling non sono da meno. Anzi.

Il Riesling Federspiel Ried Bruck 2018 ha colore paglierino chiaro e brillante, un naso penetrante di scaglie pietrose e minerali, un gran palato succoso, fittamente punteggiato da note di agrumi, asciutto, di nerbo acido e lama sapida, lungo e vibrante, con sale e limone che viaggiano all’unisono, di notevole allungo. «L’acidità della menta e dell’agrume sono tipici di questo angolo dove vendemmiamo con un anticipo di dieci/quindici giorni rispetto al centro di Spitz».

La versione Smaragd del Ried Bruck 2018 aumenta queste risonanze, radicalizzando le note pietrose, ancora embrionali ma già tendenti alla verticalità, e la succosità del palato, così tonico, acido, tagliente e minerale e capace di fondere sapore e pienezza da prospettare un futuro luminoso.

Ancora più espressivo il Riesling Smaragd Ried Bruck Alte Parzellen 2017: paglierino intenso-brillante, olfatto d’invitante penetrazione minerale, con il metallo che comincia a fondersi ad alte temperature di freschezza, e agrumi a gogò. Palato succoso da morire, menta e agrume che scandiscono un andante gustativo, sviluppo contrastato e tonico, molto tonico, «così tonico che bisogna scriverlo due volte» (Britta Nord), con una lama acida e una tensione minerale che si allungano inesorabili nella persistenza.

Purtroppo il Grüner Veltliner ha una sola disgrazia qui in Wachau: dover competere con il Riesling.

Ecco il Riesling Smaragd Vision 2018, che proviene da una piccola parcella acquistata nel 1995 nell’estremità inferiore del Kellerberg, un quarto di ettaro di terreno ciottoloso: è il terroir di Loiben, dal microclima più caldo e dal suolo più profondo rispetto alle “rigidità” dello Spitzer Graben. Colore paglierino brillante, profumi che sventagliano freschezze di menta e spiccate note di agrumi. Palato tonico, pulsante. Menta, erbe, agrumi, ancora loro, sempre loro. Josef considera il Vision un inno barocco del Donau-Wachau contro le asprezze del Graben.

Completano la gamma, oltre a due corrette Riserve di Chardonnay e Sauvignon del millesimo 2017, un elegante Moscato Giallo. Il Gelber Muskateller Smaragd Ried Bruck 2018 ha colore paglierino brillante, piglio aromatico di taglio floreale, palato succoso che spazia dallo zenzero al muschio al biancospino. Ancora più invitante il 2017: profumato di muschio e pesca, sottilmente aromatico al palato, snello e sottile, aereo e modulato.

Si chiude con il Grüner Veltliner Eiswein 2011, 200 grammi/litro di zucchero residuo, una tipologia che negli anni scorsi, prima delle alterazioni degli equilibri climatici dovuti al riscaldamento globale, veniva prodotto con più continuità. Colore lingotto che brilla, naso con pesca in confettura, senso di albicocca, sfumature esotiche, un’anima di crème brûlée. Palato molto, molto denso, viscoso come una Trockenbeerenauslese, puro, invitante succo di frutta tropicale, con un finale di miele, mela cotogna in confettura e prugna bianca. La sublimazione del Grüner Veltliner.

Continua……

Contributi fotografici di Massimo Zanichelli e Britta Nord

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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