Monterotondo in Chianti Classico. Su al confine

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Man mano che ti inerpichi su per i Monti del Chianti percorrendo la Statale 408 di Montevarchi, un’idea te la fai. Ma è solo quando ti ritroverai giusto sul crinale che divide il Chianti Classico senese (comune di Gaiole, per la precisione) dalla sponda aretina, in un posto chiamato Monterotondo, che quell’idea strisciante si trasformerà in certezza: pensare di praticare il mestiere del vignaiolo lì significa accettare vini succubi di quel microambiente, vini marchiati a fuoco da lui. Insomma, vini caratterizzati, nel bene o nel male.

D’altronde sei circondato dai boschi. L’aria è fina, odora di fresco, e poi quei luoghi conoscono bene il significato di natura e di incontaminato, i declivi quassù trattengono le pendenze facendosi più accomodanti per le vigne, la luce è immensa, il cielo a picco, la Badia a Coltibuono solo qualche curva più in là. Sei alto quassù, non c’è niente da fare, a quasi 600 metri di altitudine. Il microclima condiziona, mentre i suoli di alta collina conservano rare tracce di argilla, per il resto è questione di arenarie e galestri. Quanto alla vendemmia, qui si va a ottobre inoltrato, non ci sono santi.

Saverio Basagni, assieme alla moglie Fabiana, un giorno ha deciso di stabilirsi a Monterotondo, e Monterotondo è pure il nome della sua azienda agricola (e agrituristica), con le vigne attorno (cinque ettari) e con la cantina ricavata sotto casa. E’ accaduto così che l’antico podere acquistato dal nonno di Saverio nel ’59, ex possedimento della Badia a Coltibuono, sia stato riattato e riportato in vita dal nipote.

Ci sono due “spigolature”, in tutta questa storia, che ci fanno capire  la caparbietà dell’uomo per arrivare a progettare una vita nel segno del vino: un pregresso fatto di acque minerali ( l’azienda paterna), che non sarebbe stato proprio il massimo con i propositi e le idealità di un viticoltore, e il nome di un piccolo borgo sul fronte aretino distante solo poche centinaia di metri da Monterotondo, che si chiama Morellino: più che un nome una insinuazione! Ecco, lasciarsi alle spalle il mondo delle acque minerali e fronteggiare a suon di Chianti Classico l’irriverenza di un nome (Morellino), sono due fatti tangibili che mettono bene in luce le reali intenzioni dei protagonisti.

Fuor di ironia, ci sono volute una buona dose di coraggio e una sincera testardaggine per intraprendere l’attività di agricoltore in un posto del genere, anche se sotto questi chiari di luna climatici la scommessa di un giorno assume oggi i connotati di una scelta azzeccata.

Si inizia ad imbottigliare nel 2003 con tanta voglia di imparare e due o tre idee in testa, divenute poi propositi identitari con i quali mai si è scesi a compromessi: agricoltura biologica certificata, coltivazione di sole uve autoctone, produzione di Chianti Classico Docg in qualità di blend di vitigni, come tradizione vuole. Ecco quindi che la palette costitutiva contempla una base importante di sangiovese ( dall’85 al 95% a seconda dei casi) con saldo di canaiolo e malvasia nera.

Due le etichette in gioco, il Chianti Classico Vaggiolata (dal 2016 Vigna Vaggiolata), e il Chianti Classico Riserva Seretina ( dal 2016 Vigna Seretina). In verità ve ne sarebbe una terza, un bianco da uve malvasia chiamato Sassogrosso, che ha lo scopo di placare la passione del suo artefice verso i bianchi dal portamento nordico, impettiti ed affusolati. Ma noi oggi ci troviamo a Monterotondo per i Chianti Classico. L’occasione ci è data da una doppia verticale storica per testare un percorso e una fisionomia. Ecco, alla luce dei bicchieri incontrati posso ben sostenere che si tratti di un percorso di assoluta crescita fattuale e stilistica.

I vini sono come governati da una elegante sobrietà di fondo, discendenza legittima dei luoghi in cui nascono e di una sensibilità interpretativa per nulla interessata alle estrazioni brute, ciò che raramente ha concesso loro di sforare nel verso della scabrezza o in quello dell’opulenza.  Cromaticamente sfumati, con le loro belle trasparenze da mettere sul piatto dei ragionamenti ( soprattutto il Chianti Classico Vaggiolata), sono vini la cui lucentezza è portata in dote dall’acidità, che qui non manca mai.

Nel frattempo, a fronte di una silhouette classica annunciata da profonde venature balsamiche e da trame più verticali che ampie, il vigneto più maturo, l’accresciuta consapevolezza tecnica, l’impiego di legni grandi a partire dal 2016 nonché l’allungamento dei tempi di macerazione (nelle ultime annate arrivati a 90 e a 120 giorni), hanno condotto i vini su traiettorie espressive di superiore compiutezza, “complessizzando il complessizzabile” ( soprattutto in termini di architettura tannica, più integrata rispetto a un tempo), inspessendoli nel senso della profondità (e non del peso), lasciando emergere un bello scheletro sapido/minerale e illimpidendo progressivamente un disegno fattosi col tempo più flessuoso e disinvolto (soprattutto nel Riserva), lì dove vivezza acida e candore fruttato si mischiano per ricreare un mélange ancor più sensuale e coinvolgente.

Di questa esperienza, delle persone e dei vini resta un bel ricordo, la prospettiva di un futuro all’altezza, il conforto di aver conosciuto una storia contadina nata e cresciuta senza “compagnie cantanti”, vissuta intensamente dai suoi protagonisti fra idealità e pragmatismo. Intransigente quanto basta da essere legittimamente annoverata fra le storie di puro artigianato, chiantigiana fin nel midollo, è una storia di affetti autentici in grado di far bene alla terra, che è poi tutto quel che conta e tutto quel che serve.

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VERTICALE CHIANTI CLASSICO VAGGIOLATA

Chianti Classico Vaggiolata 2010

Fragranze di frutti maturi e sfumature di viola segnano un quadro di buona profondità aromatica. Scorrevole, placido ma gustoso, ispira sincerità ed è tutto men che un vino presenzialista. Con l’aria emerge un risvolto tannico più affilato e vegetale.

Chianti Classico Vaggiolata 2011

Profumi ben espressi di sottobosco umido e menta; morigerato calore alcolico, bocca densa e vellutata, scia eterea, non la lunghezza che ti aspetteresti. Con l’ossigeno emerge un “sottofondo” tannico leggermente vegetale ma, nonostante l’annata calda e insidiosa, nessun straripamento verso l’opulenza. Di una sua compassata dignità.

Chianti Classico Vaggiolata 2012

Profumi più esotici qui, più ricercati. Buona integrità e scorrevolezza, bella tattilità e sapore che convince. Progressivo, dalla dolcezza di frutto bilanciata, in lui alberga una speciale misura e, delle prime annate assaggiate, appare il vino più compiuto.

Chianti Classico Vaggiolata 2013

Floreale, sottile e rarefatto nel comparto aromatico, al gusto si riscopre stranamente contratto e amaricante. La seconda bottiglia non scioglie i dubbi lasciandoci interdetti, facendo pensare ad una tornata di tappi malefici. Mi conforta semmai il ricordo dell’ultimo mio assaggio risalente a un paio di anni fa, dove annotavo “ ….intrigante e contrastato ai profumi, dai quali ti par di scorgere una reale appendice minerale, morbido e levigato al gusto, lì dove i contributi del rovere e dell’alcol tendono semmai a rallentarne scorrevolezza e dinamica. Eppure non si fa mancare sapore e purezza varietale”.

Chianti Classico Vaggiolata 2014 ( 50% di produzione in meno, Riserva non prodotto)

Una certa rigidità aromatica, fresca e impettita, fa il paio con un’apprezzabile vivacità cromatica. Buon tatto in un sorso succoso e interessante, del quale ne apprezzerai la tipica discrezione caratteriale e la chiosa sapida.

Chianti Classico Vaggiolata 2015

Una “punta” eterea e distillata lascerebbe presupporre che il calore del millesimo si sia fatto sentire fin quassù. Bocca invero di buon tono fruttato e discreto grip, provvidenzialmente salvata dall’acidità. Il più “ridondante” di tutti, pur nella sobrietà temperamentale.

Chianti Classico Vigna Vaggiolata 2016 (entrano in gioco le botti grandi, macerazione di 90 giorni sulle bucce)

Brillante e perfettamente scandito ai profumi, sono frutto e fiore in sintesi aggraziata. In lui convivono naturalezza espressiva, ariosità, progressione. La qualità del disegno, la nitidezza e la capacità di dettaglio depongono a favore di personalità. E’ un bel vedere.

Chianti Classico Vigna Vaggiolata 2017

Gustoso e stilisticamente risolto, proporzionato e sorprendente, possiede frutto, fiore, verve e dolcezza accorta. Di più, una qualità complessiva decisamente sopra la media, se stiamo all’annata.

Chianti Classico Vigna Vaggiolata 2018 (campione da vasca; 120 giorni di macerazione sulle bucce)

Fragrante, floreale, succoso, vivo, dinamico, schietto, di bella prospettiva & speranza.

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VERTICALE CHIANTI CLASSICO RISERVA SERETINA

Chianti Classico Riserva Seretina 2010

Una sensazione di pienezza e di vigore alcolico svela un frutto maturo e ancor presente, una carnosità assai generosa e fors’anche una maggiore incidenza dei legni nuovi.

Chianti Classico Riserva Seretina 2011

Ricchezza “costituzionale” con qualcosa che esonda, alcol un po’ bruciante. Lievi tracce ossidative per un vino ancora vitale a cui manca semmai il dono dell’equilibrio.

Chianti Classico Riserva Seretina 2012

Qualche incertezza aromatica, sentori di frutta secca, frutto “diradato”, tratto un po’ alcolico.

Chianti Classico Riserva Seretina 2013

Qui si cambia registro: escono fuori “tono” aromatico e freschezza, equilibrio e contrasto gustativo, ritmo e sale. Molto interessante!

Chianti Classico Riserva Seretina 2015

Buon disegno, con il calore dell’annata tenuto provvidenzialmente a bada; è saldo, compatto, avvolgente, continuo nella progressione e nel sapore. E’ una pienezza còlma di senso, la sua.

Chianti Classico Riserva Vigna Seretina 2016

Elegante, sfaccettato, balsamico, arioso. Possiede la giusta densità, il senso delle proporzioni, la qualità tannica. Si affaccia il giaggiolo e il tutto si ingentilisce, mentre la trama si esalta in una fresca succosità, preconizzando nitidamente un futuro all’altezza. Sì, un passo in più per complessità e compiutezza.

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Degustazione effettuata in azienda nel mese di febbraio 2020

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FERNANDO PARDINI

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