Châteauneuf du Pape: un incontro ad effetto

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Dovremmo trovarci nella parte meridionale della Valle del Rodano, ma invece siamo nel quartiere Prati in Roma; non c’è Avignone a poca distanza, bensì Piazza Mazzini. Ci troviamo infatti presso l’enoteca Ercoli, che fa parte della storia di questo quartiere come vetrina unica per prelibatezze eno-gastronomiche provenienti da ogni parte del globo. Nell’accogliente sala interna di questa “boutique dei sapori” si è svolta, lo scorso 4 ottobre, una interessantissima presentazione del vino principe di quella vocata area vinicola francese, celebrata nella zona settentrionale dai grandi Syrah e da denominazioni prestigiose come Hermitage, Côte Rôtie o Château Grillet; oltre alla Châteauneuf du Pape riconosciamo nell’area meridionale ottime AOC come Gigondas, Vacqueyras, Côtes du Rhône, Beaumes de Venise e Tavel.

A proporre sei etichette rappresentative della migliore produzione di Châteauneuf du Pape sono stati gli amici della Gelardini & Romani Wine Auction, che già in passato hanno saputo regalare wine tasting di assoluto valore. L’ormai affermata casa d’aste, unica nel suo genere per la specializzazione nel campo dei grandi vini, trova sempre il modo di presentare una nuova asta, con una degustazione dei prodotti che saranno poi protagonisti all’incanto. Per l’evento previsto il prossimo 10 novembre in coincidenza con il Merano International Wine Festival (dove la G.& R. Wine Auction, in collaborazione con la Gourmet’s International, presenterà la più importante asta italiana di vini vintage) l’occasione dello scorso 4 ottobre rappresentava una significativa promozione; noi appassionati ne abbiamo ricavato di fatto una ghiotta degustazione, assolutamente da ricordare (da segnalare che la degustazione dei migliori Châteauneuf du Pape sarà replicata a Roma per promuovere l’appuntamento invernale capitolino delle aste G.& R.).

Arriviamo dunque puntuali all’appuntamento romano ed incontriamo, non senza una certa sorpresa, i due “claudicanti” organizzatori: Flaviano Gelardini e Raimondo Romani. Vittime di incidenti tanto diversi quanto simultanei, Flaviano e Raimondo con la consueta cordialità ci accolgono nella sala di degustazione dove troneggiano le sei bottiglie di Châteauneuf du Pape in attesa di essere apprezzate. Ci facciamo spiegare la valenza commerciale di questi vini francesi, forse un po’ schiacciati dalla notorietà di Bordeaux e Borgogna, ma ricchi di storia, scoprendo come si possano acquistare a prezzi davvero interessanti etichette che possono rappresentare un ottimo investimento a lungo termine. Nell’introdurre la degustazione bisogna ricordare che nell’area di produzione (considerando l’intera Provenza), dove in realtà si producono più vini bianchi, la grande visibilità viene acquisita grazie alla bontà proprio di questi rossi, nella cui composizione possono essere utilizzate ben 13 varietà di uve diverse, sia rosse che bianche. E a dire il vero saremmo più precisi se indicassimo in 14 il numero esatto dei vitigni, ma la Grenache Blanc viene inclusa nella nomenclatura più generale di Grenache. Le uve rosse ammesse per la produzione dello Châteauneuf du Pape rosso sono: Grenache Noir, Syrah, Mourvèdre, Cinsaut, Muscardin, Counoise, Vaccarèse e Terret Noir, mentre le uve bianche sono Grenache Blanc, Clairette, Bourboulenc, Roussanne, Picpoul e Picardan. Anche se ci troviamo di fronte ad un gran numero di vitigni va considerato che normalmente i produttori ne utilizzano una varietà molto inferiore, con la Grenache Noir a fare da protagonista.

Peculiarità di questi prodotti sono il carattere, l’incisività, gli aromi profondi e la grande struttura unite ad una notevole longevità; un misurato utilizzo del legno, in favore di una più diffusa decantazione in cemento, forse per un affinamento più intimo e scevro da eccessive influenze delle vasche stesse, caratterizza ulteriormente la lavorazione di questi vini. Si distinguono cinque categorie di Châteauneuf du Pape: la Tradition è un blend abbastanza “libero” di uve a base Grenache; la Cuvée può comprendere una precisa selezione fra più di 10 vitigni; il Cru è invece realizzato con uve Grenache in purezza provenienti da un unico vigneto; troviamo poi la Reservée con un invecchiamento superiore e la più nobile Vieilles Vignes che utilizza uve provenienti da vigne di oltre 90 anni di età.

Ma veniamo ora ai nostri appunti di degustazione, in cui tracciando un bilancio finale non possiamo non riconoscere una qualità sopra le righe che ci accende una forte curiosità: vista l’ottima performance di questi Tradition vorremmo provare qualche Cru o qualche Riserva … e forse potremmo acquisirne qualche bottiglia proprio nella prossima asta romana di dicembre.

Domaine Pegau Tradition 2002
Il 2002 è stata un’annata piuttosto difficile anche per la Valle del Rodano meridionale e la produzione ne ha risentito sotto il profilo organolettico, vini un po’ chiusi, scontrosi, duri. Questo Pegau non fa eccezione e a fronte di un colore rubino scuro, cupo e tenebroso, volta le spalle all’olfattiva, trattenendo nel calice buona parte dei profumi. Una vigorosa ossigenazione (e ci dicono che le bottiglie sono aperte da ore) riesce a scuotere questo vino roccioso, quello che ne scaturisce è un aroma serrato, dal fondo terroso con sentori di frutta rossa ed un penetrante finale di liquirizia amara. In bocca non accenna ad aprirsi, è ancora ermetico, tosto, pastoso e denso; alla deglutizione risale la vena fruttata che ricorda la prugna nera acerba, soprattutto la buccia. La chiusura è ancora di liquirizia con un accenno di pepe nero. Ruvido.

Domaine de la Janasse Tradition 2002
Ci spostiamo nel Domaine de la Janasse, cercando un’espressione diversa di questo 2002 scontroso e trovando un’interpretazione che, pur conservando caratteristiche di intelligibilità sempre piuttosto complicate, risulta comunque più accessibile. Colore intenso, sanguigno e impenetrabile, lascia copiose tracce di se sulla pancia del calice durante l’ossigenazione. I profumi risultano un filo più aperti, liberando tonalità fruttate più leggibili e riconducibili alle bacche rosse di un sottobosco piuttosto umido; l’insistita aerazione consente un finale piuttosto speziato dove oltre alla liquirizia trovano spazio i chiodi di garofano e pepe rosa. Al primo sorso l’impressione è quella di una maggiore armonia d’insieme, l’avvolgenza è meno aggressiva, perfino l’alcol (14%) riesce procurare una sensazione di calore più apprezzabile; alla deglutizione la dominanza è più speziata che fruttata, la liquirizia è molto incisiva e cerchiamo in un nuovo sorso tonalità celate. La sensazione è medesima e la difficoltà a concedere aperture fruttate conferma comunque tutti i freni di questa annata. Introverso.

Domaine de Beaurenard Tradition 2003
Ottimo invece il sostegno climatico del 2003, che ha contribuito ad una produzione di grande qualità ed efficacia come abbiamo potuto provare con questo tradition del Domaine de Beaurenard. Il colore è brillante, rubino intenso con riflessi purpurei; al naso si propone pulito, non arrembante, con una trama fruttata fine e matura ed una evoluzione speziata garbata e dolce dai toni distintamente balsamici. In bocca è caldo e più incisivo, elegante e vellutato; i tannini si avviluppano alle gengive, ma il palato non ne risente, grazie ad una morbidezza fruttata e dolce che ricorda la prugna cotta e la ciliegia sotto spirito. Nel retronasale tornano gli effluvi balsamici ed un ricordo di cioccolata. Un vino accurato e docile che mostra segni di virilità tali da prospettarne un futuro più che longevo, ma in grado di offrire già belle sensazioni. Piacevole.

Domaine Charvin Tradition 2004
In quest’annata non si evidenziano particolari difficoltà, ma non viene considerata buona come la precedente. Il nostro Charvin, un blend classico dell’AOC, si muove nel bicchiere evidenziando un’incipiente evoluzione granata dell’unghia, a fronte di un rubino intenso e luminoso. Avvicinando il naso all’orlo del cristallo non ci colpisce la potenza dei profumi, ma inspirando con più determinazione cogliamo una componente fruttata soffice di amarene e visciole; ossigenando ci procuriamo una gradevole finale speziato con erbe aromatiche su un fondo di liquirizia. Interessante, ma un po’ corto. All’assaggio osserviamo una certa pigrizia, non concedendo subito tutto lo spettro dei sapori che poi risulterà in grado di offrire; deglutendo e riprovando con cura, apprezziamo un’anima che viene dal sottobosco, offrendo le sue bacche rosse con garbo e liberando pian piano una sequenza speziata che va dalla radice di liquirizia al cuoio invecchiato per chiudere con una punta di sapidità. Vino rilassato, da bere con calma e attenzione al fine di coglierne le sfumature più interessanti e recondite. Didascalico.

Domaine Clos des Papes Tradition 2004
Bello già a vedersi questo vino, con una veste rubino intenso dai riflessi violacei e dal sostenuto tenore glicerico che nella rotazione favorisce il fitto diluvio di lacrime vermiglie sulle pareti del calice. L’approccio olfattivo è esplosivo, con un’intensità di frutta rossa, rovi e humus che si placa solo dopo una lunga ossigenazione, cedendo il passo ad aromaticità speziate più fini e profonde che sembrano non finire mai. In bocca entra con copiosa voluttà, calore alcolico potente (14,5%) ed un veemente corpo fruttato a base di composta di prugne e lamponi; tannini decisi ma ben amalgamati nella struttura sostengono una masticabilità densa che in un lunghissimo finale rilascia note di cacao fra le papille ed arie salmastre nel retronasale. Un gran vino, di enorme impatto emotivo e gustosità generose, non a caso premiato con valutazioni di eccellenza tanto da Wine Spectator, quanto da Robert Parker; da bere ora per emozioni forti oppure tra una quindicina di anni per scoprire armonie più intime. Devastante.

Domaine de la Janasse Cuvée Chaupin 2004
Infine una cuvée, un vino quindi più ricercato nell’assemblaggio, curato direttamente dalla famiglia Ie che, dal 1973, grazie all’estro di Aimé creatore del Domaine de la Janasse, è protagonista della produzione vinicola della regione. Lo Chaupin 2004 ha bellissimo colore, rubino scuro e concentrato, con riverberi cremisi ed un velo che, nell’azione di ossigenazione, disegna fitti archetti scarlatti sul cristallo. Al naso esordisce con una decisa complessità fruttata che non scuote i recettori come il Clos des Papes, ma che riversa su di essi una quantità notevole di sfumature fra un’ampia varietà di bacche rosse e una fine composizione di speziature eleganti e prolungate. Un’olfattiva armoniosa e profonda che trova una fedele corrispondenza nell’assaggio. L’incontro con il palato è infatti caldo, morbido, con un frutto di grande espressività meridionale, maturo e avvolgente; l’intelaiatura è serrata per quanto non aggressiva, graduale nel liberare i tannini e con un finale prima sapido e poi curiosamente amaricante, con note di pepe nero e cioccolato. Un grandissimo vino, da porre certamente in evidenza per qualità ed equilibrio fra le componenti; non sconvolge come il precedente, ma irretisce in modo ineluttabile. Struggente.

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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