Francesco Brigatti, di Suno. Un altro modo di dire “Piemonte”

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Suno, città del vino dell’alto Piemonte novarese, non è certo tra le più conosciute mete del turismo del vino. Certo, sono famose Fara, Sizzano, Ghemme, Boca… Ma Suno? Per fortuna a Suno ci si può arrivare anche tramite la dritta di un ottimo ristorante, come La Torre di Romagnano Sesia: chiedendo all’oste di indicarmi i migliori produttori della zona, nella sua rosa dei nomi ha sentenziato: “Francesco Brigatti, di Suno”.

colline di Suno

Tanto basta, eccomi in direzione di Suno: in linea d’aria, per intendersi, è a una decina di chilometri a ovest dell’aeroporto della Malpensa, a metà strada tra Oleggio e Ghemme. Rispetto all’ampia e ben visibile collina morenica di Ghemme, che scende in direzione nord-sud verso Novara, Suno fa parte di un sistema morenico più smussato e dolce nelle sue forme collinari, tanto che guardando dal satellite non si percepisce se non a malapena la natura lievemente increspata del territorio. Ma le mappe alle volte ingannano l’occhio: vale la pena di concedersi un giro in queste colline baciate da una bellezza matura, tra campi coltivati e piccoli paesi ben conservati. Poco fuori il paese, verso est, le strade di campagna si piegano in ampie curve, e conducono allo spettacolo inatteso e dolce delle colline moreniche “pettinate” dai filari di vite. I ghiacciai che scendevano dal Lago Maggiore verso il Ticino le hanno depositate lì, ricche di argilla e con suoli molto acidi. Tanto che ai piedi dei filari capita spesso di vedere gettata un po’ di polvere bianca: è la calce, che i contadini usano per disacidificare il terreno.

Su queste strade mi conduce Francesco Brigatti, per mostrarmi dove nasce il suo vino. Laureato in agraria ed enologia, rappresenta la terza generazione di una famiglia che ha iniziato a coltivare la vigna in Suno. «A iniziare tutto fu mio nonno Alessandro, quando agli inizi del Novecento decise di affiancare alla coltivazione dei cereali quella della vite». Gli impianti di nonno Alessandro erano fatti con lo stile tradizionale dell’Alto Piemonte, ovvero alla “maggiorina” (un sesto d’impianto a quadrati con al centro tre-quattro viti che si diramano verso le estremità). Fu il figlio Luciano Brigatti, padre di Francesco, a dare negli anni Sessanta una decisa svolta alla produzione aziendale, ampliando le vigne e trasformando il sesto d’impianto in quello a controspalliera, che consentiva le lavorazioni col trattore. Luciano iniziò anche l’imbottigliamento in proprio del vino, di cui rimane in cantina una testimonianza di alcune bottiglie dalle etichette suggestive. Già nel 1958 escono le prime bottiglie del vino di punta, il Möt Ziflon. Dal 1996 è Francesco a prendere le redini dell’azienda, sempre aiutato dal padre, che ancora oggi, a 83 anni, dà la sua forte mano in vigna e in cantina. Mentre saliamo per le vigne, incrociamo un trattore: eccolo lì, è Luciano, sul New Holland a dare i trattamenti primaverili; «Mio padre è un uomo dalla tempra inossidabile, grandissimo lavoratore… senza il suo supporto non riuscirei a fare tutto, abbiamo 6 ettari e mezzo di vigne e facciamo tutto in famiglia», spiega Francesco.
vigna campazzi

Sono tre i corpi vitati dei Brigatti: Möt Frei, dove prevale il nebbiolo, Mottobello, dai terreni in cui si mescolano argilla e sabbia, ricchi di potassio e magnesio che danno sapidità ai bianchi come l’erbaluce, e Campazzi, con filari che seguono la pendenza della collina. Scendiamo qui, ai Campazzi, una vigna che si distingue per un piccolo casottino, che un tempo fu una base partigiana. Qua, sulla cresta, sono piantate le viti di barbera. Mentre Francesco racconta di sé e del vino, si china a indicarmi i segni del passaggio dei caprioli, che anche in questa zona fanno danni rilevanti alle colture, mangiando i primi germogli delle viti.
Francesco Brigatti in vigna

Francesco aveva intrapreso la carriera universitaria a Torino, nella facoltà di Agraria, ma col tempo il senso di precarietà della condizione di ricercatore stava divenendo asfissiante, tanto da fargli decidere il grande passo e darsi anima e corpo alle vigne di famiglia. Sembra la classica bella storia del ritorno alla terra, ma Francesco sottolinea quanto sia difficile una scelta del genere in questo territorio: la denominazione Colline Novaresi non ha appeal sul mercato, si fa grande fatica a vendere il proprio vino. A Suno, per intendersi, nonostante i terreni vocatissimi, sono solo due le aziende vinicole.

foglie vite

Eccoci in mezzo ai filari: Francesco lascia le vigne inerbite, non ama la pratica del diserbo, che porta il terreno a squilibrarsi: «Vedi, se diserbi per alcuni anni di seguito, poi ti compaiono i muschi in vigna… il terreno sembra morto. E poi l’erba in vigna mi permette di entrare col trattore anche dopo che ha piovuto, senza impantanarmi nell’argilla! Io non sono biologico, non mi voglio legare a un bollino; uso le mie conoscenze e il mio criterio. Ad esempio, per le fermentazioni uso i lieviti indigeni, ma non voglio farne una bandiera; è così, ritengo che nel mio caso vada bene così, tutto qua».

famiglia Brigatti

Oggi il sesto di impianto è tutto a guyot, con 8-9 gemme per pianta; dirada molto in fase pre vendemmiale, per ottenere rese intorno ai 60 quintali di uva. Dalla sua azienda in media escono 25.000 bottiglie all’anno.

Ci spostiamo verso la cantina, parlando dei suoi mercati di riferimento: «Per fortuna, oggi riesco a vendere tutta la produzione; vendo molto all’estero, con piccoli importatori: Canada, USA, Germania, Svizzera, Francia, Polonia e Giappone». Scendendo in cantina, si vedono delle belle vasche in cemento: «Le uso per farci fermentare il Ghemme; qui adotto una tecnica assai particolare: stecco la volta, in modo da trattenere le vinacce sempre a bagno, e poi lascio macerare a lungo, 50-60 giorni senza fare rimontaggi. Il Ghemme l’ho fatto quasi per caso, perché un importatore me lo chiedeva. E così, ho preso in affitto una piccola vigna all’interno della denominazione, sono 3000 metri quadri, ne vengono fuori solo 1500 bottiglie. Ma mi è molto utile per avere in carta una denominazione nota anche all’estero». Modestia e concretezza. In realtà, chiedendo in giro, si dice che il Ghemme di Francesco sia uno dei migliori in assoluto, una perla rarissima da cercare col lumicino.
Ed eccoci agli assaggi.

Mottobello Colline Novaresi Bianco DOC 2014
Da uve “greco novarese” (che altro non è che l’erbaluce, nome che però non si può usare in etichetta per contenziosi tra consorzi…) con 12,5 gradi alcolici che raccontano di un’annata piovosa e difficile; racconta Francesco: «A metà agosto ero disperato; ho iniziato a diradare in modo estremo per salvare il salvabile…» Al naso e all’assaggio l’annata difficile non la percepisci minimamente. Fermentazione e affinamento solo in acciaio, macerazione breve di 5-6 ore con le bucce. Naso floreale e marino, con ricordi di pesca e di cereali, in bocca è sapido e piacevolissimo, rimanda alla frutta gialla croccante (susina, pesca), di grande persistenza, e di bevibilità entusiasmante. Gustosissimo.
mot ziflon

Maria Colline Novaresi DOC Vespolina 2014
La vespolina è un vitigno classicissimo della zona; è dotata di un inconfondibile bagaglio di profumi speziati e dona ai vini in cui è tagliata un tocco di freschezza e di gioiosa frutta. Vinificata in purezza, rivela all’ennesima potenza le sue doti di freschezza profumata. In questa versione, Francesco la fa macerare per 6-7 giorni in acciaio; si presenta di color rubino-violaceo, con un naso giovane (è in bottiglia da un mese), fresco, speziato che ricorda l’uva fresca, la fragola… In bocca, nonostante il breve affinamento, è già ben delineato, pulito, diritto, fruttato e con un bel tannino pimpante. Un vino che va dritto al cuore, con quel retrogusto speziato-sanguigno che dichiara fin da subito le sue origini nord-piemontesi. Vino da compagnia, da salumi, paste al sugo, goloso come pochi altri. Il prezzo in azienda è di 6 euro più iva.

Maria Colline Novaresi DOC Vespolina 2013 (13%)
Il colore è un rubino-violaceo più pieno del 2014, con un naso più assestato (il ’14 ha l’esplosività della gioventù), con spezie, pepe, acqua di mare, emergono anche note balsamiche e mentolate… «La vespolina – dice Francesco – mi piace così; quando la svino, ha dei profumi che mi fanno impazzire… Se la assaggi in quel momento ha dei tannini che ti uccidono, ma il profumo… ». È incredibile la finezza, la capacità di questo vino di “narrare il suo territorio”. Sapida, croccante, irresistibile, la vespolina è il vitigno che caratterizza l’unicità delle colline novaresi.
«È il bello di questo lavoro: dalla potatura ad oggi che stappo il vino, posso dire di aver fatto tutto io, ci metto dentro me stesso… Alle volte apprezzo di più un vino “meno buono” ma in cui ho dovuto tribolare e mettere tutto il mio impegno».

Möt Ziflon Colline Novaresi Nebbiolo DOC 2011
85% nebbiolo, 10% vespolina, 5% uva rara. Si tratta, da sempre, dell’etichetta di punta aziendale. Il nome significa collina (möt) dove cantano gli uccelli.
15 giorni di macerazione sulle bucce con un rimontaggio al giorno in vasca d’acciaio. Dopo la malolattica, viene trasferito in botti di rovere dove affina per 20 mesi. Alla vista è rubino trasparente con naso avvolgente, raffinato, morbido, tra note fruttate e rimandi animali, con un sottofondo marino e minerale. In bocca è equilibrato, lungo, con un impatto dapprima vinoso e un allungo di classe, con un tannino ancora vivo e una integrità di frutto piena. Succosissimo grazie all’acidità viva ma ben integrata nel quadro generale. Non è di sicuro il corpo il suo punto forte, ma questa è una caratteristica tipica di tutto l’alto novarese; colpisce per finezza e serenità espressiva. Un vino che si definirebbe “trasparente”, per quanto riesce a raccontare in modo diretto, senza forzature, le sue origini da un territorio vocatissimo. In azienda, a 7,5 euro più iva, un prezzo decisamente favorevole.

Prima di congedarmi, chiedo a Francesco di indicarmi altri produttori che ritiene validi in zona. È un modo per “fare rete”, per legare insieme un territorio. Mi risponde felicissimo: «Vedi, un tempo c’era rivalità e campanilismo, ci si guardava in cagnesco tra produttori… E per cosa? Oggi abbiamo capito che bisogna presentare un intero territorio. Una sola azienda non riesce a fare nulla, bisogna fare sistema».
E allora, ecco alcuni nomi tra quelli rimasti nei miei appunti:

Francesca Castaldi (Cantina Castaldi, Briona http://www.cantinacastaldi.it/it/home )

Andrea Fontana (Platinetti Vini, Ghemme http://www.platinettivini.com )

Gilberto Boniperti (Boniperti Vignaioli, Barengo http://www.bonipertivignaioli.com

Ottimi suggerimenti per continuare a raccontare l’altro Piemonte vinicolo, ossia l’Alto Piemonte.

I riferimenti:
Francesco Brigatti
Via Olmi, 31 – 28019 Suno (NO) Italia
Tel/fax 0322 85037
info@vinibrigatti.it – www.vinibrigatti.it

GALLERIA DELLE IMMAGINI

(l’immagine della famiglia Brigatti è tratta dal sito aziendale Brigatti)

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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