Diario natalizio parte prima – 22/29 dicembre 2020

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Martedì 22 dicembre

Tempo nuvoloso.

Nuovo Dcpm di Natale. Passeggiando per il quartiere e lambendo il relativo mercato rionale, chiedo consulto, quasi interrogo, due poliziotti della municipale sulle modalità di spostamento: la casistica del decreto risulta contorta come certi disciplinari di produzione.

Via libera dell’Ema e della Commissione europea al vaccino Pfizer-Biontech, ma la variante inglese del Covid getta ombre sinistre sul futuro della pandemia.

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Mercoledì 23 dicembre

Giornata di cielo coperto, temperatura in rialzo.

Apro i Riesling di Weingut Hamm (Rheingau), conosciuti per caso cenando la scorsa estate nel loro Gutsausschank (ristorante aziendale) a Oestrich-Winkel, a due passi dal Reno. Dopo avermi accompagnato nella loro storica cantina, Christine Hamm mi fece gentile omaggio di alcune bottiglie. Oltre a dimostrare l’alta qualità media dei Riesling tedeschi anche di cantine meno conosciute e quotate, le retro etichette descrivono i vini in modo sorprendentemente appropriato.

Così il Riesling Kabinett Trocken 2019 viene definito “feingliedrig und verspielt mit komplexer Rieslingfrucht” (delicato e leggiadro con un complesso e spiccato carattere varietale), mentre il Riesling Kabinett Feinfruchtig 2019 è “Ein klassisch leichter Rheingau Kabinett mit facettenreichem Rieslingaroma und spritzig eleganter Fruchtsüße” (un Kabinett classico e leggero con un versatile carattere aromatico e una elegante, agile dolcezza fruttata). Sono vini tipici e appaganti. Strepitoso il Winkeler Jesuitengarten Riesling Trockenbeerenauslese 2005, già valutato come uno dei migliori dell’anno dalla WeinGuide Deutschland 2007 Gault Millau, che avevo tra i miei scaffali e che ho riaperto con curiosità.

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Giovedì 24 dicembre

Vigilia di Natale bagnata dalla pioggia, in compagnia di tre film ambientati nel periodo natalizio.

Una poltrona per due (John Landis, 1983), che sembra un film di Preston Sturges, è uno dei capolavori della commedia americana. Eddie Murphy non sarebbe più stato così divertente («Bello anno a lei!»), e Jamie Lee Curtis così sexy. Strepitoso intermezzo per due vecchie glorie del cinema classico, Ralph Bellamy e Don Ameche, nel ruolo dei due anziani e avari fratelli capitalisti che scommettono un dollaro su un esperimento sociale che travolgerà le vite di tutti. Da vedere nel pomeriggio.

Die Hard – Trappola di cristallo (John McTiernan, 1988). Spettacolare, adrenalinico, catastrofico. Il film che fece di Bruce Willis un divo. «Adesso ho un fucile mitragliatore, oh oh oh!» («Now I have a machine gun, oh oh oh!»). Un raro esempio di blockbuster coinvolgente e intelligente, dove la componente action non toglie spazio all’ironia. Da vedere dopocena.

Regalo di Natale (Pupi Avati, 1986). Uno dei film più coraggiosi e crudeli di Avati, che reinventò in un ruolo drammatico Diego Abatantuono, fino a quel momento conosciuto per aver interpretato il “terrunciello” nei film dei Vanzina (oggi al centro di un’incomprensibile rivalutazione). Indimenticabile Carlo Delle Piane. Più amaro di una tavoletta di cioccolato nero. Da vedere a notte fonda.

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Venerdì 25 dicembre

Pioggia torrenziale.

Allieto il Natale pandemico e minimalista con il Trento Extra Brut Riserva Lunelli 2010 Ferrari (sboccatura 2020), in una delle sue migliori versioni (gareggia per finezza e completezza con il 2006), e con il Moscato d’Asti Vite Vecchia 2014 Ca’ d’Gal, tra i migliori conseguimenti di quest’estrema interpretazione di territorio: se non fosse per la sua natura effervescente, qui davvero accennata, quasi un solletico al palato, si potrebbe definirla un’“Auslese” di Moscato d’Asti.

Non ci resta che piangere in tv, di e con Roberto Benigni e Massimo Troisi (1984). Dopo una notte buia e tempestosa, un maestro elementare toscano e un bidello napoletano si ritrovano nel paesino di Frittole nell’anno della scoperta dell’America. Il primo vuole impedire la partenza di Cristoforo Colombo in modo che, nel futuro, la sorella non incontri il ragazzo americano che l’ha lasciata, facendola soffrire, il secondo si finge cantautore (e di quali pezzi: Yesterday, Nel blu dipinto di blu, Fratelli d’Italia!) davanti agli occhi della quindicenne Pia (Amanda Sandrelli). Insieme incontreranno Leonardo da Vinci (Paolo Bonacelli), spacciandosi per inventori e cercando invano di insegnargli a giocare a scopa.

Nonostante i contributi artistici (fotografia di Giuseppe Rotunno, musica di Pino Donaggio, montaggio di Nino Baragli), la confezione sembra tirata via più del dovuto, la regia è assente, il ritmo latita alquanto, ma il film è quasi commovente nel portare in scena un’idea di comicità ingenua, improvvisata e demodé, creata per il piacere del puro divertimento, con diverse scene ancora oggi impagabili, tra cui il famoso passaggio alla dogana («Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!») ripetuto fino allo sfinimento.

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Sabato 26 dicembre

Giornata di sole.

In tv Frankenstein junior, il capolavoro di Mel Brooks (1974). Gene Wilder che vuole essere chiamato “Frankenstin” (è il nipote del celebre scienziato Victor von Frankenstein). La gobba di Igor (Martin Feldman, un’icona) che si sposta da destra a sinistra. Il nitrire terrorizzato dei cavalli al suono del nome Frau Blücher (Cloris Leachman, l’irriconoscibile “femme fatale” di Un bacio e una pistola): «solo Dio sa cosa fa loro quando non c’è nessuno in giro», dichiarò il regista.

Scena cult. Si sente un ululato.

Inga: «Lupo ulula

Dr. Frankenstein: «Lupo ululà?»

Igor: «

Dr. Frankenstein: «Cosa

Igor: «Lupo ulu-là. Castello ulu-lì.»

Dr. Frankenstein: «Ma come diavolo parli?»

Igor: «È lei che ha cominciato

Dr. Frankenstein: «No, non è vero.»

Igor: «Non insisto. È lei il padrone

Nella versione originale:

Inga: «Werewolf

Dr. Frankenstein: «Werewolf

Igor: «There

Dr. Frankenstein: «What

Igor: «There, wolf. There, castle.»

Dr. Frankenstein: «Why are you talking that way?»

Igor: «I thought you wanted to.»

Dr. Frankenstein: «No, I don’t want to

Igor: «Suit yourself. I’m easy.»

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Domenica 27 dicembre

Meteo anodino.

In tv La lingua del santo di Carlo Mazzacurati (2000), commedia agrodolce in cui due falliti (l’ex giocatore di rugby Antonio Albanese e l’ex rappresentante Fabrizio Bentivoglio) rubano una reliquia dalla Basilica del Santo di Padova alla ricerca di riscatto economico e personale.

Verso un nuovo lockdown a gennaio.

Vaccinate le prime persone.

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Lunedì 28 dicembre

Il bianco della neve scesa copiosa. L’arancione delle zone italiane.

Da settimane sto rileggendo L’uomo senza qualità di Robert Musil nella mirabile traduzione e curatela (note, cronologia, bibliografia) di Ada Vigliani nell’edizione in due volumi dei Meridiani Mondadori (1992 e 1998). Poco meno di una trentina d’anni fa, quando ero studente universitario, avevo letto, come tutti, la storica traduzione di Anita Rho uscita da Einaudi. Sto centellinando un libro capitale, probabilmente il più complesso e perfetto del Novecento, anche se Musil è diventato nel tempo un nome meno celebre e proverbiale rispetto a quelli di Marcel Proust e James Joyce, gli autori delle altre due supreme architetture incompiute del secolo scorso (Alla ricerca del tempo perduto e Ulisse).

Lo sto centellinando come un vino pregiato o un raro distillato per assaporare il piacere di una lettura lenta, per l’impegno che richiede la prosa di Musil (articolata ipotassi, lunghi periodi, costruzione impersonale, uso della forma passiva, stile antifrastico, proliferazione di perifrasi e litoti) e perché incrocio la traduzione con la versione originale (Der Mann ohne Eigenschaften, Rowohlt), che talvolta compulso con altre opere di Musil, soprattutto i due volumi dei Diari (a cura di Enrico De Angelis, Einaudi) e i due volumi dei Saggi e lettere (a cura di Bianca Cetti Marinoni, Einaudi), e con una serie di saggi: L’uomo senza qualità di Pietro Citati (in Il té del Cappellaio matto, Adelphi), L’uomo senza qualità di Ingeborg Bachmann (in Il dicibile e l’indicibile. Saggi radiofonici, Adelphi), Musil di Maurice Blanchot (in Il libro a venire, Einaudi), Dietro quest’infinito: Robert Musil di Claudio Magris (in L’anello di Clarisse. Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna, Einaudi), L’uomo senza qualità di Massimo Cacciari (in Il romanzo. Lezioni, Einaudi), L’uomo senza qualità di Aloisio Rendi (in Il romanzo tedesco del Novecento, Einaudi).

Uscirò (forse) da questo labirinto tra qualche mese.

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Martedì 29 dicembre

Pioviggine mista a neve.

Possibili ritardi nella consegna in Italia del carico da 470.000 dosi del vaccino Covid.

Un’altra abbuffata di film.

Johnny Stecchino (1991) di e con Roberto Benigni, che vi interpreta due ruoli. L’ingenuo Dante, autista di un pulmino per disabili con il vizio di rubare le banane, è il sosia del boss pentito Johnny Stecchino, che, pur essendo identico a lui, per tutto il corso del film continua a dire che non gli assomiglia per niente. Nicoletta Braschi, la donna di Johnny, circuisce Dante, attirandolo a Palermo per trasformarlo in un bersaglio, ma capitolerà davanti al suo candore. È uno dei film migliori di Benigni. «Ma quanto costano le banane a Palermo?».

Analogamente, Compagni di scuola è la miglior commedia di Carlo Verdone, che interpreta il ruolo di “Er Patata”, professore di un liceo privato sulla Cassia succube della moglie e pateticamente innamorato di una sua allieva. Accanto a lui sfila l’umanità variopinta degli ex compagni di classe ospitati nella villa della mantenuta Nancy Brilli: l’eterno immaturo Christian De Sica, cantante fallito alla ricerca di soldi; la psicoanalista zitella Athina Cenci; il cinico sottosegretario Massimo Ghini; l’arricchito romano Angelo Bernabucci; la giornalista Eleonora Giorgi che non sopporta la vista dell’ex marito farfallone Piero Natoli, il quale vuole invece riconquistarla a tutti i costi; il ginecologo Maurizio Ferrini accompagna l’amico magistrato Alessandro Benvenuti, che finge di essere un paralitico su una sedia a rotelle… Ogni paragone con Il grande freddo di Kasdan è fuori luogo e Verdone rimane in ogni caso un regista sopravvalutato.

La rivincita di Natale di Pupi Avati (2004), controverso e criticato sequel di Regalo di Natale, sempre ambientato alla vigilia di Natale, è più di un guilty pleasure. È un film che avvince al di là dei suoi difetti. Ha il fascino del sequel imperfetto, che torna sull’amato “luogo del delitto” del tavolo da gioco, che non arretra davanti alla cattiveria, che ha il coraggio del proprio cinismo, che ha personaggi (e interpreti) invecchiati con addosso il fascino della decadenza.

C’è qualcosa di fatiscente, di attraente. Inutile nasconderlo: l’ho rivisto per la seconda volta (o era già la terza?).

 

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Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

1 COMMENT

  1. Trovo molto avvincente il modo di descrivere vino e cinema del dott. Zanichelli, forse anche perché concordo spessissimo con i suoi pareri cinematografici

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