Bei vini, brutte etichette: parte seconda

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Al mio precedente pezzo qui su L’AcquaBuona, che trattava delle etichette brutte dei vini, è seguito un acceso dibattito. Un dibattito che si è svolto nell’ambito dei miei parenti, con qualche occasionale commento di gente fuori della mia cerchia familiare, sui cosiddetti social.
Tutti –  dove per tutti intendo una decina di persone – ci hanno tenuto a sottolineare un punto: non è sempre vero che a etichetta sgraziata, o pacchiana, o presuntuosa, o ridicola, corrisponda poi un contenuto liquido mediocre. Concordo. E difatti mi ero premurato di mettere una mezza dozzina di mani avanti annotando: “Le rare eccezioni creano una piacevole contraddizione tra l’etichetta indubbiamente poco riuscita e un liquido buono o eccellente: succede di rado, ma succede”.

Per una sorta di nemesi vinosa, nelle ultime settimane – compresa quella delle feste pasquali – si sono moltiplicate le occasioni di stappare bottiglie quasi impresentabili come abito esteriore, ma custodi di soluzioni idroalcoliche ottime o addirittura eccellenti.

Trascrivo dunque oggi, con ammirazione verso i produttori mista a perplessità per la loro scelta dei grafici, note di assaggio di due flaconi bruttini di vini notevoli.

Tête de Gondole, Chaut et Prodiges, Vin de France SA, Gregory Leclerc

Un bianco della Loira che viene annunciato da un’etichetta di rara inguardabilità: la punta – ovvero il “ferro di prua”, per i locali fero da prova o dolfìn – di una gondola veneziana, su sfondo grigiastro. Non entro nel merito se si tratti di una forma metatestuale ironica, sul genere: “mo’ ve faccio un’etichetta scherzosamente kitsch”. Sta di fatto che la presentazione non risulta il massimo. Il vino, invece, è davvero riuscito: da uve chenin blanc, ha un bel colore giallo pieno (senza essere saturo), profumi vivaci di lime e pietra focaia (sì: proprio quella dei testi ammuffiti di tecnica degustativa degli anni Settanta), un sapore scattante, netto, sapido, rinfrescante.
Da cercare attivamente, perché pare costi pure poco (a me è stato gentilmente offerto).

 

 

Passito di Pantelleria Alcova 2015, Coste Ghirlanda

Qui più che di sgradevolezza estetica dell’etichetta si può parlare di scarsa felicità comunicativa della parte testuale: a parte il nome, Alcova, un po’ ammiccante ma vabbè, fa bella (…) mostra si sé la scritta poetica:

“Lo sguardo
oltre le vigne
dove il mare è
come il cielo.
Incredibili colori
tra i silenzi sconfinati”

Con queste premesse, il bevitore avvertito si dispone a bere un vino velleitario e di qualità dubbia. E invece, proprio all’opposto, si tratta di uno dei passiti di Pantelleria più complessi, articolati, succosi, dinamici, persistenti mai assaggiati. Una vera gemma, non distante come compiutezza formale dalle meravigliose versioni di Salvatore Ferrandes: e ho detto tutto. Peccato che, a quanto mi risulta, l’azienda non ne produca più (o meglio, non produca più vino in generale).
Un vino che merita una ricerca anche maniacale, direi.

___§___

Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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