Alta Langa, il fiore all’occhiello di Enrico Serafino

0
1385

L’azienda Enrico Serafino è il classico esempio di realtà vitivinicola piemontese che è stata in grado di coniugare numeri non indifferenti, circa 350.000 bottiglie annue, con una qualità finale del prodotto offerto ai propri consumatori degna di nota.

La cantina ha una storia importante e antica: fondata attorno al 1878 a Canale d’Alba, tutto ebbe inizio grazie allo spirito imprenditoriale del suo fondatore, il ventiquattrenne Enrico Serafino, proprietario terriero originario di Romano Canavese, piccolo borgo in provincia di Torino. Ah, il Roero, così come la Langa e il Monferrato, dal 2014 è stato proclamato sito Unesco; ma torniamo ad Enrico: per realizzare il sogno di un’intera vita decise di trasferirsi nel cuore pulsante del Piemonte viticolo, là dove le colline hanno scritto la storia della viticoltura regionale.

Filari baciati dal sole e grappoli che maturano in maniera ottimale, a quei tempi il cruccio odierno legato a quest’ultimo aspetto costituiva semmai il problema opposto. Basti pensare che in alcune zone, soprattutto a nord di Torino, l’uva faceva fatica a maturare, soprattutto in certe annate. Sin dal principio l’ambizione ha caratterizzato la filosofia e lo stile Enrico Serafino, con un obbiettivo chiaro e inequivocabile: produrre vini destinati alle tavole importanti della buona società.

Stiamo parlando ovviamente di rossi degni di nota, di bianchi austeri e di nobili bollicine, in grado di onorare la tradizione spumantistica piemontese, la più antica del nostro Bel Paese. Non tutti sanno, per l’appunto, che in Piemonte è nato il primo metodo classico italiano. Attorno ai primi dell’Ottocento i conti di Sambuy, influenzati dai cugini d’Oltralpe, iniziarono a coltivare alcuni vitigni francesi – soprattutto pinot noir – allo scopo di produrre vini spumante sul modello dei ben più noti Champagne, una tipologia di vini sempre più richiesta dai mercati internazionali, inclini a considerare svariate denominazioni, e non soltanto i soliti nomi.

L’Alta Langa oggi più che mai è sotto i riflettori, e il merito va attribuito alle tante cantine che negli ultimi anni sono riuscite ad imporre un livello qualitativo medio-alto, e vini dal carattere fortemente identitario e difficilmente replicabile altrove. Enrico Serafino è stata tra le prime a conquistare visibilità, oltre ad importanti traguardi in concomitanza con il rilancio del territorio e la conseguente nascita dell’omonima DOCG istituita nel 2011.

La storia inizia molto prima, in un periodo compreso tra fine Ottocento e i primi del Novecento. Negli ultimi quindici anni ho avuto modo più volte di visitare la cantina, e ciò che mi ha sempre sbalordito è l’incanto delle gallerie ottocentesche, la loro quiete ricca di fascino. A tal proposito è da segnalare che Enrico Serafino fu tra le prime Case Storiche Piemontesi a produrre all’interno di queste meraviglie sotterranee Barolo, Barbaresco e pregiate cuvée di Metodo Classico. Quest’ultimo, ai tempi, identificabile per via del raffinato logo art déco, rappresentò une vero e proprio manifesto dell’Italia del vino nel mondo: i suoi cartelloni pubblicitari comparvero nelle strade di Londra, New York, Parigi, e le bottiglie divennero protagoniste dei ricevimenti più importanti dell’epoca, oltre ad apparire in alcune importanti scene di film hollywoodiani.

Ai giorni nostri l’intera proprietà è in mano alla famiglia Krause Gentile, a cui va ascritto il merito di aver mantenuto salde le tradizioni e la filosofia dell’azienda – Sono cresciuto con una madre italo-americana e sin da bambino sono stato influenzato dalla sua cultura del cibo e del vino. Quando ero piccolo la maggior parte dei miei amici voleva crescere per diventare un pompiere. Io, invece, volevo diventare un produttore di vino. Acquisire una cantina in Italia era un sogno della mia famiglia da molto tempo, e la Enrico Serafino mi ha aiutato a raggiungerlo – queste le parole di Kyle Krause, al timone dell’azienda.

Inutile nascondere che dietro questo discorso traspare una passione viscerale per il bel Paese. L’influenza dell’agroalimentare, della gastronomia e del buon cibo – aspetti molto importanti della cultura italiana – uniti alla viticoltura, sono stati trasmessi per l’appunto dalle origini italiane della famiglia; realizzare il proprio sogno in patria un traguardo che ha premiato tutti gli sforzi compiuti.

La produzione annuale ai giorni nostri è di 350.000 bottiglie, ottenute da uve che provengono dai 25 ettari di proprietà nelle zone di Barolo, gran parte di altri noti comuni delle Langhe, Roero e Alta Langa, oltre che dai 35 ettari di vigneti di conferitori di lungo periodo che vengono continuamente monitorati dagli agronomi della casa madre.

Ancor oggi l’edificio storico è ubicato nella stessa sede degli inizi, in un complesso di fabbricati originali situati a Canale; un totale di oltre 6.000 metri quadrati, disposti su tre livelli, dove ho potuto riscontrare un giusto mix di tecnologia e tradizione, macchinari all’avanguardia e classici contenitori in legno per l’affinamento. La famiglia Krause Gentile adotta da sempre un sistema di viticoltura sostenibile, e lo fa concretamente: sia attraverso azioni che riducono l’impatto ambientale e proteggono la biodiversità, sia attraverso la promozione di iniziative sociali.

Riguardo al primo punto, si lavora attivamente per ridurre il consumo d’acqua e utilizzando il 100% d’energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili; da sottolineare il fatto che le bottiglie sono prodotte con almeno il 65% di vetro riciclato, gli imballaggi con il 70% di carta riciclata e le etichette con il 100% di carta naturale certificata FSC (Sistema internazionale di certificazione forestale). Anche i tappi sono in sughero e riciclabili al 100%.

Da qualche anno l’azienda ha concluso il percorso per la Certificazione VIVA, un protocollo del Ministero Italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare progettato per valutare le prestazioni di sostenibilità da comunicare ai cittadini. Viene verificato e monitorato un set importante di elementi, quali emissioni di CO2, consumo d’acqua e pratiche agricole, oltre alla responsabilità sociale. Riguardo a quest’ultimo tema l’azienda è molto impegnata: negli ultimi anni ha promosso visite guidate dedicate al pubblico includendo specifici programmi per rendere accessibile l’esperienza anche a persone con disabilità.

Da un punto di vista geologico, l’area dove è ubicata la cantina e i rispettivi vigneti è chiamata Bacino Terziario Piemontese. Comprende un’infinità di elementi che convergono, quali rocce vulcaniche, basaltiche e di emersione del fondale marino. La maggior parte degli ettari vitati, 14, si trova in Langa, dov’è possibile individuare suoli di origine miocenica che risalgono a 15 milioni d’anni fa, perlopiù costituiti da terre bianche di matrice calcareo-argillosa. Un’altra fetta del patrimonio aziendale si trova nelle colline del Roero, 11 ettari, dove al contrario i terreni sono più sabbiosi e morbidi, perché originatisi “appena” 5 milioni d’anni or sono.

A saldo una quota di vigne nel Monferrato, nel territorio del Gavi, in provincia di Alessandria, e quindi in Alta Langa. Visto il tema dell’articolo è giusto spendere due parole in più su quest’ultimo territorio. Nel 1990 nasce dunque il progetto Alta Langa, un territorio illustrato poeticamente nei tanti racconti di scrittori quali Fenoglio e Pavese. La poesia è meramente letteraria, perché al contrario la terra da queste parti è aspra, dura, difficile da coltivare: terreni fortemente calcarei e argillosi, ricchi di marne, dove i cloni più vocati delle due uve per eccellenza utilizzate nel metodo classico, chardonnay e pinot nero, trovano qui un’enclave benedetta.

Tornando alla Enrico Serafino, trovo corretto asserire che la cantina di Canale è stata tra le prima a produrre Alta Langa conquistando negli anni la fiducia del pubblico e degli esperti. L’ha fatto mediante un vino tutt’altro che facile, il Riserva Pas Dosé Alta Langa DOCG “ZERO”, in un’epoca in cui l’assenza di dosaggio, nelle cuveé, non dettava moda né tantomeno veniva richiesta dai mercati come ai giorni nostri.

Nonostante ciò la filosofia appare chiara: tradurre fedelmente ciò che il territorio è in grado di donare alle uve. Poche “semplici” regole: una vinificazione essenziale atta ad esaltare le caratteristiche principali del metodo classico, ovvero uno stile che premia freschezza, vitalità e che invoglia alla beva, caratteristiche importantissime quanto essenziali, considerando l’innalzamento delle temperature, sfumature che non devono mai mancare in un Alta Langa di valore. I vigneti son situati nei comuni di Mango (CN), Loazzolo (AT), Vesime (AT) e Bubbio (AT), ad un’altitudine compresa tra i 450 – 550 m s.l.m., su suoli ricchi di calcare e argilla.

Veniamo dunque ai quattro vini degustati, che narrano più di ogni altra cosa lo stile e le peculiarità di casa Serafino e dell’Alta Langa DOCG. Una denominazione che sin dagli albori ha imposto un disciplinare piuttosto severo, basti pensare che per vantare in etichetta la menzione Alta Langa o Alta Langa Rosé occorre un periodo di trenta mesi di affinamento sui lieviti; tre anni per i vini con menzione Riserva. Il prodotto finale dev’essere ottenuto mediante uve pinot nero e/o chardonnay, dal 90 al 100%, allevate esclusivamente all’interno dei 149 comuni previsti, situati nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria.

Alta Langa Oudeis Brut Metodo Classico 2019

Affinamento sui lieviti di 36 mesi, è un brut dosato 6 gr/L, costituito da 85% pinot nero e 15% chardonnay. Veste paglierino vivace resa ancor più luminosa da un perlage minuto e continuo. Al naso è lento a concedersi, liberatosi di un po’ di carbonica in eccesso dischiude i suoi aromi svelando un animo prettamente floreale e fruttato: gelsomino, acacia, scorza di mandarino, uva spina e ribes bianco; in chiusura pietra polverizzata, calcare e suggestioni di frolla. Al palato la morbidezza del sorso è data da un perlage cremoso e da un frutto adeguatamente maturo, ravvivato da guizzi sapidi e acidi. Gran bella progressione. Perfetto l’abbinamento con un branzino al sale.

Alta Langa Metodo Classico Zero Riserva Pas Dosé Sboccatura Tardiva 2017

Affinamento sui lieviti di 72 mesi e sboccatura tardiva. Pinot nero in purezza. Paglierino chiaro e vivace, dai riflessi beige. Anche in questo caso il perlage è impeccabile, minuto. Lo avvicino al naso e il ricordo di frutti golosi, suadenti, lievemente maturi prende il sopravvento, d’altronde l’annata verrà ricordata come una delle più calde del nuovo millennio. Nell’ordine: susina gialla, ribes bianco e mela golden, scorza di cedro e papaya, suggestioni di pâtisserie; la parte floreale è in secondo piano, conferisce eleganza, candore, anche il miele millefiori e il pepe bianco aiutano in tal senso. Un sorso che impegna nettamente il palato e dal timbro piuttosto incisivo, ha densità di materia tuttavia ben gestita, perché la freschezza non latita, controbilanciata da una sapidità che mostra il potenziale del terreno. Ho azzardato l’abbinamento con un piatto di arista al forno con funghi cardoncelli, prova abbondantemente superata.

Alta Langa Oudeis Rosé Brut 2019 Enrico Serafino

Affina sui lieviti per almeno 36 mesi, è un brut dosato 7 gr/L, pinot nero 100%. In controluce evidenzia sfumature salmone e buccia di cipolla su uno sfondo rosa tenue, la grana delle bollicine è molto fine, le stesse risultano copiose. Questa volta ritrovo un naso esuberante e ricco di sfumature: dapprima una sensazione ferrosa conquista la scena, seguita a ruota da frutti di rovo freschi e da una sensazione balsamica stimolante: fragolina di bosco, ribes, arancia sanguinella e mela annurca. A circa 5-10 minuti dalla mescita il richiamo è suadente e sa di frolla, dolce alla fragola coperto da un velo di pepe rosa. Un’Alta Langa Rosé slanciato, fresco, pieno di vitalità e coerente con quanto percepito al naso; soprattutto il finale ammandorlato e lievemente “ematico”, quest’ultimo richiama la parte ferrosa e i frutti rossi. Vino in divenire, tuttavia centrato e godibile sin da ora. Pizza margherita in abbinamento, ed è un rigore a porta vuota.

Alta Langa Metodo Classico Zero De Saignée Riserva Pas Dosé Sboccatura Tardiva 2017

Affina almeno 60 mesi sui propri lieviti, pinot nero in purezza. Vista la particolare tecnica di vinificazione, qui un breve riassunto: dopo la diraspatura e la pigiatura, il mosto riposa per 2-4 ore in pressa in ambiente inerte (azoto). Al termine della breve macerazione per l’estrazione del colore (saignée) avviene la pressatura soffice, con una resa in mosto fiore massima del 45%. L’intero processo si svolge senza l’utilizzo di coclee al fine di trattare le uve nel modo più delicato possibile. Infine, il mosto viene fatto fermentare in vasche di acciaio inox a temperatura controllata e conservato per 6 mesi sulle fecce con bâtonnage.

Manto rosa tenue con evidenti sfumature buccia di cipolla, perlage da manuale: bollicine simili a piccoli spilli formano cordoncini regolari che resistono nonostante il trascorrere del tempo. Liberata un po’ di carbonica in eccesso – la data di sboccatura non è riportata in etichetta tuttavia dev’essere piuttosto recente -,  squaderna dolci ricordi di frutti rossi fra cui lampone, ribes e susina; una lieve nota ferrosa fa capolino, presto addolcita da un ricordo di pasticcino alla crema/fragola, pepe rosa e da un curioso rimando alle erbe aromatiche quali salvia e timo.

In bocca è spiazzante: da una parte la freschezza primeggia nonostante l’annata torrida, dall’altra il frutto maturo prende il sopravvento restituendo grassezza, spessore, senza in alcun modo appesantire la beva. Il finale è appannaggio dei frutti rossi, e si avverte anche una lieve percezione tannica, importantissima per l’abbinamento gastronomico. Ho optato per un piatto di bucatini alla carbonara.

Contributi fotografici dell’azienda e di Danila Atzeni

___§___

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

Previous articleUn binomio consigliabilissimo
Next article22/6: “Morellino del Cuore”, tappa a Rosignano Solvay
Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here