VR, l’impronta indelebile di un vino di passaggio

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Nella fitta selva di Barolo e di Barbaresco di una sera, tutti di gran nome, lui la sorpresa più sorprendente.

Guardalo lì, un semplice Langhe Nebbiolo a sfidare l’insfidabile, e ad emergere dal mucchio senza incertezze o timori reverenziali: perentoriamente.
VR 2014, di Ettore Germano.

Eppure più d’uno, alla cieca, lo aveva immaginato come un barolone di Serralunga, perché del barolone di Serralunga a ben vedere ha tutto: potenza, spessore gustativo, energia, profondità, stratificazione tannica, vocazione da baritono: un virgulto di vino!

Ma poi, chi l’aveva vista mai questa etichetta, nella pur poliedrica gamma proposta da Sergio Germano!

La cosa singolare è che mai più la vedremo, perché questo è un vino di passaggio, un atto unico, un traghettatore e una parentesi, che già dalla successiva vendemmia confluirà negli alvei suoi più consoni: diventerà Barolo.

La cosa singolare è che di bottiglie in giro ve ne sono soltanto duemila o poco più, e le uve da cui discende appartengono a un’unica parcella che misura mezzo ettaro, ripiantata da Sergio con una selezione massale di nebbiolo già presente in azienda.
Da qui l’idea di uscirsene con la denominazione satellite, in attesa di approdare alla denominazione regina.

Ah, VR non è un acronimo a caso. Quella parcella, semplicemente, si trova nella vigna delle vigne, colei che sconta una fama “appena” leggendaria, portandosi sulle spalle il peso del privilegio.
A lei appartengono suoli bianchi che sembra di essere sulla luna.
Il suo nome non scherza, il suo nome è Vigna Rionda.

FERNANDO PARDINI

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