Montalcino in verticale/3: Mastrojanni

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Mastrojanni (sì, con la j) non ha niente a che vedere con il cinema e con la nomea del celebre Marcello, ma il prestigio acquisito nel tempo dai Brunello di Montalcino prodotti dalla cantina che porta questo nome, per gli amatori e gli œnophiles d’ogni luogo non è da meno. Per loro resta pur sempre cinema! In soldoni, ci troviamo di fronte a vini dalla timbrica inconfondibile in cui la voce del sangiovese ti arriva forte e chiara. Di granitica solidità, inflessibili e di poche moine, sono nervo teso, incrollabile austerità, certe volte altera presenza. Umorali e potenti, con quella fusione speciale di pirite, pietra e china a renderne individuo il coté aromatico (chissà, forse dipendente dalla forte presenza di sodio nei terreni, come ipotizzano in azienda), la natura poco accomodante li rende a loro modo selettivi, fatti per gli amanti del genere. E per chi ama il genere, credetemi, sanno vibrare da par loro.

Il fatto è che hanno segnato una strada e intendono percorrerla fino in fondo, senza sbandamenti di lato o traiettorie stilistiche strane. Perché a ben vedere quel carattere non lo puoi evitare: è il naturale lascito del terroir dei Poderi Loreto e San Pio, laddove ha preso forma e consistenza il corpus dei vigneti, allevati su terreni magri di diversa natura: più argillo-tufacei quelli esposti a sud-est, più calcarei e ciottolosi quelli a sud ovest. Di fatto ci troviamo nel quadrante meridionale della denominazione, specificatamente nella sua parte che guarda a est e che si colloca a cavallo fra la vallata di Sant’Antimo e la vastità della Val d’Orcia. Siamo sulla sella, su su fino ai 400 metri, e sulla sella, fra gli altri, spicca il mitico vigneto Schiena d’Asino, che porta in dono le viti più vecchie (1975) al celebre cru della casa. E’ una storia di passione questa storia, che condusse un avvocato romano, Gabriele Mastrojanni, ad innamorarsi di una terra nuova e a costruirci sopra un progetto agricolo fatto di tempo e pazienza. Sulla strada, l’apporto di persone capaci e soprattutto, a partire dal 1992, di colui che ancora oggi rappresenta la vera anima, tecnica e non, dell’impresa: Andrea Machetti, spigliato, ironico, caratteriale uomo-ovunque il quale, sostanzialmente, ha forgiato la fisionomia sia dell’azienda che delle vigne che dei vini (questi ultimi di concerto con l’estro enologico di Maurizio Castelli), vini peraltro che già dalle prime edizioni avevano riscosso quasi unanimi i consensi per l’indiscussa presenza scenica.

A distanza di anni ci ritroviamo oggi attorno a un tavolo, in quella che è divenuta la nuova cantina costruita secondo i dettami della bioarchitettura. Nel frattempo alcuni importanti cambiamenti sono avvenuti, fatti salvi i vini. I figli di Gabriele Mastrojanni, fondatore dell’azienda, hanno alfine venduto la proprietà al gruppo Illy nel 2008 (qui rappresentato da Francesco, già proprietario del confinante Podere Le Ripi) e da allora un serio programma di recupero infrastrutturale va ponendo le basi per un proseguio all’insegna di un rinnovato protagonismo. La verticale dedicata al Brunello della casa ha coperto pressoché l’ultimo ventennio e ci ha fatto comprendere ben presto come i caratteri fondanti di questo rosso forte e introspettivo non si disperdano nel tempo. Perché sono vini lenti questi qua, capaci di offrire un plateau di maturità lunghissimo, non retrocedendo di un millimetro dalla loro maschia e vigorosa fisionomia, da quel carattere austero che li accompagna fin dalla prima gioventù, svelando puntualmente, lungo una articolazione gustativa dal respiro profondamente minerale, la rigorosa impalcatura tannica che è poi la loro cifra.

Nel frattempo, a partire dall’annata 2006, ci sembra che alcuni aggiustamenti ci siano pur stati, grazie all’impiego del freddo nelle prime fasi di elaborazione cantiniera, con il risultato di far dichiarare ai vini una trama aromatica più aperta e concessiva verso le “ragioni” del frutto, la cui spigliatezza e freschezza giovanile quasi mai veniva posta in risalto, non più di quel tono sottoboscoso-ferroso che immancabilmente faceva virare lo spettro su un registro finto-evoluto più complesso e meno fruttato.

Nella sequela di farneticazioni che seguiranno sono stato volutamente stringato nei commenti ai vini ancora in botte, cioè in divenire. Di più, non ci saranno parole per il Brunello 1995, purtroppo “tappato”, né per il Brunello 1982, bevuto a tavola con la “ciccia”. Quest’ultimo non era tappato, no. Ma era talmente vibrante e luminoso da irretire le parole. Per una volta lo scribacchino ha potuto arrestare la penna e far correre i pensieri. Siccome i pensieri han corso troppo, non li ha più ritrovati. Così ai curiosi lascio solo immaginare la “capacità di racconto” del vecchio Brunello oggi trentenne. Casomai convinceste il buon Andrea Machetti (con inoppugnabili ragioni dalla vostra, mi raccomando) ad aprirvene un’altra bottiglia, potrebbe meritare –“esso tale gesto”- viaggio & controviaggio.

Brunello di Montalcino 1993

Goudron, caffè, liquirizia, ghianda. Sangiovese old fashioned certo che sì, appetitoso, coinvolgente, “mineraolide”, viscerale, solido e roccioso. Magari non la scioltezza e la flessuosità che vorresti, ma tonicità, contrasto e rugosità abitano qui.

Brunello di Montalcino 1996

Catrame, terra, spezie e ferro: austerità e portamento flemmatico per un vino asciutto, coriaceo, dallo sviluppo lineare, vivo certo, anche se non monumentale. Ma vista l’annata appare un buon conseguimento.

Brunello di Montalcino 1997

La proverbiale timbrica “alla Mastrojanni”, sfumata in questo caso da note di saggina e spezie, manca del dettaglio e della scansione attese. Nulla di compromesso: la parziale vacuità aromatica viene ripagata con gli interessi da una bocca di alto lignaggio, sapida e scorrevole, articolata e di raffinata filigrana tannica. Il più elegante fra i vecchi millesimi assaggiati finora, e un esito eccellente per un’annata fin troppo decantata ma nei fatti quasi sempre disattesa. Non qui.

Brunello di Montalcino 1999

Bella sagoma, “scura”, balsamica e liquiriziosa, potente, determinata, severa, con tante cose ancora da dire (ce le dirà il tempo). Integro e monumentale, certo conserva un’intransigenza quasi impenetrabile e una compressa mineralità, che oggi comunque ben si sdilinquiscono a tavola, se ne stuzzichi la vocazione “gastronomica”.

Brunello di Montalcino 2001

Catrame, pirite, china, menta e pietra: lievi accenti più fruttati fanno vibrare l’idea di una gioventù ancora fremente, poi ecco un attacco di bocca setoso, un bel grip gustativo, un po’ di cupezza e intransigenza tannica a frenarne gli allunghi.

Brunello di Montalcino 2004

Lato fumé intrigante, poi bacca, alloro, pirite. Sapido senza asprezze, caratteriale e volitivo, ancora austero nel registro dei sapori ma solcato da un brillio di maggiore scioltezza e apertura al dialogo. Il futuro lo aspetta ma già oggi ti appare come un bel conseguimento. Davvero.

Brunello di Montalcino 2006

Gli stimoli esotici nel frutto (frutto più pronunciato del solito) annunciano una nuova fase espressiva, più aperta e colloquiale (se rapportata allo standard della casa). Terroso e caffeoso al palato, recupera in parte il carattere maschio e pragmatico che gli riconosciamo da sempre. Finale ancora sulle sue, che dice e non dice. Fierezza conclamata. E una certa rigidità tannica.

Brunello di Montalcino 2008 (da botte)

Tannino rugoso tipico dell’annata, convincente l’aspetto aromatico: dettagliato, arioso e sinuoso.

Brunello di Montalcino 2009 (da botte)

Buona riuscita, bella polpa e struttura, completo.

Brunello di Montalcino 2010 ( da botte)

Bella sensazione boschiva, ottima struttura, vibrante, fresco, serioso, molto interessante. Dei tre campioni da botte il più “carrozzato” per il futuro.

Nella foto della tavolata, in primo piano sulla destra (sguardo dritto in camera) Andrea Machetti; accanto a lui Rada Linke (commerciale) e sullo sfondo Andrea Guerrini (commerciale). Sulla sinistra, bicchiere al naso, Giampaolo Gravina (giornalista, filosofo e amico)

Nell’ultima foto, dietro la parata di bottiglie, Ernesto Gentili (o era David Crosby?)

FERNANDO PARDINI

2 COMMENTS

  1. complimenti per l’articolo su Mastrojanni ,conosco questa Azienda 35 anni e mi sono rimaste alcune bottglie di riserva 1990 -1995-1997 -1999- se per caso si trovera a passare per New York volientieri stapperemo alcune di queste annate.a proposito mi saluta tanto Mio cugino Andrea Machetti
    cordialmente
    Violante Lepore

  2. Grazie Violante. Quando (e se) passerò da New York ( vedi mai…) non mancherò di fare un pensierino alle vecchie annate “mastrojanniche”, quantomeno coi pensieri. Le saluterò infine il cugino Machetti.

    saluti sinceri

    Fernando Pardini

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