Valentini: la tradizione nel vino, l’innovazione nell’olio

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valentini francesco Paolo«L’unicità di Loreto Aprutino? Senza dubbio l’olio! Il vino storicamente c’entra poco». E se a dirlo è Francesco Valentini, i cui tradizionalissimi vini abruzzesi siedono alla tavolo dei grandi del mondo, ambiti e contesi da appassionati di ogni latitudine, beh allora la cosa può suonare quanto meno sorprendente. Ma il ragionamento è più ampio e provo a riassumerlo.

Loreto Aprutino, borgo storico sulle colline dell’entroterra pescarese, è un luogo ben noto agli amanti del bere bene. Dai pochi ettari vitati del suo circondario provengono alcune delle più felici espressioni della vitivinicoltura abruzzese. I vini di Valentini, certo, con il Trebbiano in primis e il sempre più raro Montepulciano (sono una decina d’anni che Francesco aspetta l’annata “degna” di essere imbottigliata per i suoi severissimi standard!); ma anche quelli definiti e concentrati di Torre Dei Beati, pluripremiati dalla critica e ormai da tempo ai vertici della produzione regionale; per finire con le novità di De Fermo, aziendina rigorosa e selettiva di cui si parla un gran bene negli ultimi tempi. E potrei continuare con Ciavolich, San Lorenzo, Talamonti, Marchesi de’ Cordano, Torre Raone, e lo stesso Masciarelli, altro big dell’enologia, che, tra le sue infinite tenute sparse in tutto l’Abruzzo, vanta a Loreto alcuni appezzamenti d’eccezione.

Insomma sul “genius loci” di questo territorio ormai sono tutti d’accordo. Una terra da vino eletta che Valentini descrive così: «Il suolo è “normale”» dice Valentini, «un terreno prevalentemente argilloso, di medio impasto, non particolarmente nobile. Non abbiamo marne pregiate, vene calcaree, sabbie particolari, come in altre zone vocate d’Italia. Sono l’esposizione alla luce e ai venti a fare la differenza. Qui, a 20 Km in linea d’aria c’è il mare Adriatico da un lato e il Gran Sasso con le sue nevi dall’altro. L’escursione termica è notevole e anche la ventilazione, che asciuga e rende le uve sane, con i venti che vengono da nord che si incrociano con quelli provenienti dalla gola di Popoli a sud». Ad essere fuori dall’ordinario, poi, c’è senz’altro la sensibilità e la bravura di alcuni vignaioli, che – chi in maniera più tradizionale chi più moderna – riescono a trarre il meglio da questa terra e dalle sue viti.

E allora? Loreto Aprutino eden del vino o terra da olio? Provo a chiarire la frase d’apertura attingendo sempre alle parole di Valentini.

loreto aprutino agr olivuccia

«Vino ed olio hanno sempre viaggiato insieme. Dove c’era l’uno c’era anche l’altro. Ma il vino, storicamente, ha sempre recitato un ruolo di secondo piano, come dimostrato anche dal fatto che di aziende storiche del vino a Loreto non ne è rimasta nessuna oltre alla nostra. Tutti gli altri sono arrivati negli anni Novanta. Il vino quindi si è sempre prodotto, ma era destinato più a un consumo familiare, al più paesano. L’olio invece lo esportavamo. Lo vendevamo nella capitale o partiva per Napoli dentro botti caricate sui muli. Aveva un valore, era una moneta di scambio. Chi aveva un buon uliveto poteva permettersi di far studiare i figli. Era considerato ricco! Quando oggi invece chi lavora un uliveto è considerato un folle o un pezzente! Loreto era pieno di frantoi. Pensa che il soprannome degli abitanti del paese era “culi unti”, proprio perché si viveva immersi nell’olio con secchi e sacchi di olive ovunque, e per pulirsi le mani la soluzione più comoda era quella del di dietro dei pantaloni. Oggi siamo in pochi a continuare testardamente a puntare sull’olio. Arriva ormai tutto da fuori e la politica anziché aiutarci ci ostacola e ci deprime» (ho sintetizzato ed “edulcorato” abbondantemente il discorso, che condivido a pieno, di Francesco Valentini…il riferimento è alla recente eliminazione dei dazi doganali dalla Tunisia e alla confusione ed ottusità delle leggi in materia – ndr).

Pochi sanno che Loreto Aprutino è il comune dell’olio con la più alta densità di piante d’Italia e che quella Aprutino Pescarese è stata la prima DOP in assoluto. La cultivar è sempre stata la dritta loretana, che è una delle 25-26 censite nel solo Abruzzo. Una pianta che, a dispetto del nome, è tortuosa, nervosa, una “scultura vivente” (come ama dire Valentini). E’ una varietà che produce oli dal sapore intenso (“per essere buono deve sapere”, hanno sempre insegnato a Francesco), fruttati, piccanti, con un’elevata carica di polifenoli che gli conferisce anche una longevità fuori dal comune. Un eccezionale antiossidante naturale insomma.

Valentini OLIOE qui esce fuori il Valentini che non ti aspetti. «La mia famiglia ha sempre prodotto olio e vino: ho traccia di primi riconoscimenti in concorsi nazionali di fine Ottocento. Il fatto che il nome Valentini sia diventato famoso per il vino è una cosa più o meno casuale: negli anni Sessanta per una serie di circostanze mio padre si trovò a vendere tutti gli allevamenti di bestiame e dovette decidere cosa fare. Decise così di produrre vino sulle nostre proprietà partendo dalle vinificazioni in bianco che gli aveva insegnato mio nonno materno, un uomo di scienza. E quegli insegnamenti continuo oggi a seguire io, praticamente inalterati. Ma se per il vino sono un “talebano” e continuo a vinificarlo come si faceva 100 anni fa, per l’olio farò esattamente il contrario. Sto studiando le tecnologie più all’avanguardia del mondo per capire come riaprire un frantoio moderno di famiglia ed ottenere un olio sempre migliore. Il vino è prodotto di fermentazione e bisogna lasciar fare alla natura. L’olio invece è prodotto di spremitura: occorre fare il possibile per evitare fenomeni ossidativi e conservare la fragranza del frutto. E la tecnologia offre un aiuto fondamentale. In tale senso, anche per me, è più che benvenuta, anzi è indispensabile. Voglio aumentare la produzione e quindi espianterò i vigneti meno vocati (e qui già intuisco il brivido che corre lungo la schiena degli appassionati bevitori – ndr) per piantare altri ulivi. Oltre al frantoio poi voglio costituire un panel di degustazione serio, autorevole, preparato, perché se è vero che io ambisco a fare un prodotto sempre migliore, è altrettanto importante che faccia il possibile per far capire agli altri perché è migliore».

Forse passerà ancora qualche anno prima che Francesco si convinca a scrivere una mail al computer e rinunci alla comunicazione epistolare con stilografica. Ma per l’olio, c’è da scommetterci, ne vedremo delle belle!

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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