Chianti Classico Riserva e Gran Selezione 2016: i fiori son sbocciati (ma per i Riserva di più)

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Ci sono rose e fioriranno“, titolai un anno fa sui Chianti Classico 2016, riferendomi ovviamente ai vini “d’annata”. Le premesse per ottenere conseguimenti all’altezza c’erano tutte e assai puntualmente trovano oggi il conforto atteso, se ci riferiamo ai vini più importanti della tipologia in uscita quest’anno sui mercati, ossia Chianti Classico Riserva e Gran Selezione.

Con una coloritura decisamente più appropriata e “territoriale”  – e quindi con una nota di merito da appuntarsi sul petto – per quanto riguarda i Chianti Classico Riserva, di buona lena i migliori esponenti della speciale razza chiantigiana, e con le ambiziose Gran Selezioni che, se escludiamo qualche caso, sembrano voler attestare la necessità di qualcosa di cui sostanzialmente non se ne sentiva un gran bisogno, il più delle volte puntando su una esplicitezza materica  – e su tutto il corollario d’ordinanza portato in dote dall’estrazione e dai legni- a dispetto di una più naturale attitudine alla versatilità e alla scioltezza, requisiti questi ultimi che a noi paiono cumsustanziali alla materia del contendere, che si chiama Chianti (Classico).

Se poi mi si vuol dire che la Gran Selezione è stata concepita, più che per nobilitare sottozone, per dare una lustratina nel verso dei prezzi e tentare così di approcciarsi a mercati più “evoluti” e spendaccioni, vabbé, lo comprenderei. Non sarei assolutamente d’accordo, sia chiaro, ché queste derive speculative mi fanno prudere testa e mani, ma lo comprenderei. Bastava dirlo, casomai, ed essere chiari fin dall’inizio.

Qui sotto troverete una selezione estratta dalla Chianti Classico Collection 2019 della Leopolda fiorentina, occasione irrinunciabile per qualsivoglia appassionato o giornalista del vino. Una selezione ovviamente non esausitiva ma sufficiente per comprendere di cosa stiamo parlando. E parlare di annata 2016 per il Chianti Classico significa parlare della circostanza giusta per bere bene. Fragranza, integrità di frutto, potenziale di longevità, strutture bilanciate, slancio, finezza appartengono ai migliori esemplari della specie. E se non è tutto oro ciò che luccica – il Chianti è grande, i territori sono tanti, le teste pure eccetera eccetera-  immaginare di potersi godere certe bottiglie fa venire l’acquolina in bocca al solo pensiero.

Nota ai margini: le note di degustazione che seguono vengono presentate in stretto ordine di apparizione, con i coinvolgimenti e i bemolle da intuirsi sulla base del detto o del non detto. L’acronimo cb sta per campione di botte.

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CHIANTI CLASSICO RISERVA 2016

BIBBIANO

Amarene e calor’alcolico, delicata presa tannica, rotondità di forme, tutte insieme tutte qui in un vino succoso, piacevole, proporzionato, anche se non propriamente complesso.

CAPARSA – Caparsino

Elegantemente floreale, si avvantaggia di una progressione importante, articolata, dalla coda salina, quasi salmastra. Nitido e accordato in ogni passaggio gustativo, si attesta ai massimi livelli di espressività nell’ambito della tipologia.

CAPARSA – Doccio a Matteo

Colore sostenuto qui, e la consueta fisionomia corposa e austera che chiede tempo per sdilinquirsi. Ma se attualmente non può avvalersi della iridescente dinamica di un Caparsino, peso strutturale e consistenza tannica prefigurano con chiarezza una idea di futuro assai felice.

CASTAGNOLI – Terrazze

Frutto rosso di amarena, stimoli esotici, esecuzione precisa e gusto vagamente accomodante per un vino caldo e “rilassato” nello sviluppo. Brilla per dolcezza di frutto (pure troppa) e piacevolezza, anche se il dinamismo non è la sua arma migliore.

CASTELLARE di CASTELLINA

Ritmo e tensione non mancano, a fronte di un leggibile timbro silvestre e vegetale e di un rovere in fase digestiva. La chiusura leggermente rugosa non lede poi tanto l’agilità e il senso della misura: quelli sono di casa.

CASTELLO DI FONTERUTOLI – Ser Lapo

Precisione ed accuratezza confermano la mano indiscutibilmente sicura della casa; la dolcezza di fondo dai risvolti cosmetici, il tatto docile e lo sviluppo senza scarti avvalorano l’idea che si potrebbe fare di più sul fronte della caratterizzazione.

CASTELLO DI MELETO – Vigna Poggiarso (cb)

Con tutto il beneficio di inventario legato ad una campionatura da botte, la freschezza, la capacità di dettaglio e la modulazione nei toni che ho riscontrato qui sono davvero di buon auspicio per questa nuova etichetta di Meleto.

CASTELLO DI VOLPAIA

Il paesaggio aromatico ispira “chiantigianità” da tutti i pori; al gusto è incisivo, sbuffa e spinge, ma appare piuttosto arcigno e serrato nella morsa tannica, come se dovesse ancora schiudersi, aprirsi, concedersi.

CIGLIANO

Slanciato ed elegante, assume la compostezza del grande vino di territorio, garbato, pervasivo, seducente, arioso, tratteggiato in bello stile. Pura elegia liquida nel ricordo di Niccolò Montecchi.

CINCIANO

Alcolico e fruttato, la concentrazione e il corollario del rovere mal si conciliano con l’articolazione e il dettaglio. Peccato perché la materia non è niente male.

DIEVOLE – Novecento (cb)

La definizione ancora incerta, ossia l’amalgama così e così, fa parte del gioco, visto che di campione di botte trattasi. Certo la tensione non gira a mille, ma la grana tannica e la sensazione tattile depongono a suo favore.

FATTORIA SAN GIUSTO A RENTENNANO – Le Baròncole (cb)

L’energia, ora trattenuta, è fortissima, e certifica di gran lunga il vino più strutturato e potente del consesso. Si muove lentamente, spinge senza distendersi, fa intravvedere le sue insegne, sa che il tempo è nelle sue mani ma le bottiglie presentate alla kermesse raccontano anche storie diverse, complice la più che latente aleatorietà tipica di un campione da botte.

FÈLSINA – Rancia

Ecco il Rancia che ritrova il passo suo, soprattutto in termini di caratterizzazione e trasparenza espressiva. In questo caso se ne fanno garanti un gusto succoso e quel finale lungo, salato, sciolto, checchennedica la tentazione alcolica.

GAGLIOLE – Gàllule

Piuttosto affilato e “aguzzo”, note piccanti ed empireumatiche aprono ad un trama stretta e un po’ farraginosa, dall’espansione incerta e con il rovere in fase digestiva. Da attendere certo che sì.

IL MOLINO DI GRACE 

Meno estrattivo del solito, un po’ di calore in eccesso sulle spalle ma decisamente flessuoso: le erbe aromatiche, la dote balsamica e l’assenza di eccessi rendono intrigante la sua fisionomia, una fisionomia moderna da cui emerge una buona dolcezza di frutto.

ISTINE – Levigne (cb)

Belle proporzioni e passo decisamente elegante (in fieri). Di certo il vino più austero fra quelli prodotti da Angela Fronti, dove la carica tannica si fa sentire e la saldezza strutturale serra le maglie alla trama. Piuttosto facile auspicare per lui un futuro all’altezza.

LE MICCINE

Qualità del disegno, snellezza, acidità, ritmo e distensione sulle ali dell’equilibrio. D’impatto lo assoceresti a un Radda, anche se raddese non è. Molto buono, nonostante il finale fin troppo sottile ed affusolato.

MAURIZIO ALONGI – Vigna Barbischio

Una malcelata ricchezza di frutto e di materia scorta un incedere orientato più nel verso della larghezza che non della profondità, mentre l’allungo decisivo gli viene a mancare, contrato com’è da un tannino vivace e determinato.

MAURIZIO BROGIONI

Frutto maturo, stimoli ematici e generosità: la ridondanza di forme non gli dona i giusti contrasti, ma un’ombra di schiettezza ne ravviva le sorti.

MONTERAPONI – Il Campitello (cb)

Purezza, droiture, naturalezza e una acidità “puntuta” a guidare le danze e a dare slancio alla trama. Tutto in freschezza, i tannini come una nuvola. Davvero bello.

NARDI VITICOLTORI

Fragrante, arioso, di frutto e fiore, è una nitida esposizione la sua, che sposa uno stile condivisibile giocato sui dettagli pur senza distinguersi come un mostro di complessità. Buon viatico!

OLIVIERA – Settantanove

Alcol un po’ pungente, e si sente anche al palato, che è palato schietto, verace ma alcolico (L’ho già detto alcolico?)

POGGERINO – Bugialla

Energia (interiore), integrità di frutto, saldezza, espansione, sale, mineralità. Non ce n’è per nessuno. Grande conseguimento!!

POMONA

Succoso, proporzionato, puro, fila via che è un desio con garbo e giustezza. E’ Chianti Classico nell’anima, questo è, intessuto a macramé. Per chi intendesse fargli le pulci invece, lo troverebbe fin troppo affilato nel finale, ma sono questioni di lana caprina.

PRINCIPE CORSINI/VILLA LE CORTI – Cortevecchia

Preciso, ordinato, “accomodante”, frutto ben tornito, rovere d’ordinanza, sbuffi cosmetici, andamento morbido e rilassato. I fondamentali ci sono tutti e sposano una tecnica consapevole, ma resta come in debito di personalità.

RICASOLI – Brolio

Stimoli esotici ai profumi aprono ad un gusto morbido, permeato dalle “effusioni” del rovere, a rilasciare dolcezza in sopravanzo. Non il contrasto che vorrei.

RIECINE

Ancora da illimpidirsi ma pieno di cose da dire, è vino di spessore, ricco dentro, saporito e vivo, i cui indubbi requisiti sono solo da incanalare nel verso consueto, che è notoriamente il verso giusto.

ROCCA DELLE MACIE – Famiglia Zingarelli

Di implacabile linearità gustativa, sulla scorta di profumi floreali, vegetali ed esotici, mostra pulizia d’impianto, sviluppo ordinato e una personalità senza picchi scortata da un tannino che incide .

SANTO STEFANO – Drugo

Particolarmente riuscito, se solo sto ai ricordi miei alle prese con questa etichetta, colpisce per l’allure tradizionale, il ritmo e la spigliatezza. Ben dispiegato, aperto, concessivo, non gli facevo proprio una fisionomia del genere. Montefioralle ringrazia.

TENUTA DI ARCENO

Ecco un Arceno meno concentrato e potente del solito, bensì più sfumato e succoso. Ed è in questa dimensione per così dire confidenziale che riallaccia un dialogo più stretto con la piacevolezza e la misura.

TENUTA LA NOVELLA

Sanguigno, acido, teso ma oltremodo stretto e affilato. Leggibile la screziatura vegetale che ne rende “diverso” il profilo.

VILLA VILLACCHIO – Alberta

Il fraseggio sottile, l’assenza o quasi di gradino tannico, la volatile e i profumi sinceri gli rendono un coté da vino “naturale” guadagnato sul campo con mano leggera. Se non fosse per l’evoluzione – latente – e per quel finale già un po’ disadorno.

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GRAN SELEZIONE 2016

BORGO LA STELLA

Del Chianti Classico (d’altura) conserva l’agilità, e una progressione dritta e affilata stimolata dal pungolo acido, qui davvero veemente, al punto tale da indurire il sorso nella persistenza. Non male però!

CASTELLO DI AMA – San Lorenzo

Ricco, di spessore, caratteriale e tannico, ancora indietro nello sviluppo ma dal buon potenziale evolutivo, qui hai la solita ciccia carnosa di Ama con un pizzico di peso estrattivo apparentemente in eccesso, ciò che il futuro saprà raddrizzare al verso.

CASTELLO DI AMA  – Vigneto Bellavista

Compassato, elegante, succoso, strutturato (sì, strutturato) ma di una pienezza buona, il tannino fa la voce da baritono ma sarà il tempo a regalargli il giusto controcanto.

CASTELLO DI FONTERUTOLI – Castello di Fonterutoli

Il contributo del legno speziato tende a chiudere i pertugi nella persistenza ad un sorso che sembra peraltro muoversi con garbo, corroborato da un frutto suadente e carnoso, a sancire le fattezze di un vino particolarmente “consapevole” nella manifattura tecnica ma che nella sua “modernità stilistica” non strizza troppo l’occhio all’ovvio.

VILLA CALCINAIA – Vigna Bastignano

Succoso, diffusivo, avvolgente, porta sempre un pizzico di alcol di troppo sul groppone, ciò che ne placa la tensione ma non l’ampiezza, quella sì ragguardevole.

VILLA CALCINAIA – Vigna la Fornace

Nobilmente introspettivo, a tratti ombroso, si svela nelle intimità di certi dettagli felici, denotando un singolare carattere vulcanico-affumicato, un coté sensualmente speziato e un andamento fresco e ritmato. Molto buono.

VILLA CALCINAIA – Contessa Luisa

Ciliegia e peonia, eleganza e speziature, espresse in un contesto alcolico ma puro, sentimentale, chiantigiano.

POGGIO AL SOLE – Casasilia

Calore e solarità di frutto non sempre trovano accordature armoniose in questa fase evolutiva. E se gli viene a mancare l’amalgama di cui solo il tempo si farà garante, il nostro non si fa mancare il carattere, e quella sincera concretezza a cui ci ha abituati e a cui lede un niente la sfrangiatura alcolica.

QUERCETO DI CASTELLINA – Sei

Uno dei vini più indecifrabili di oggi, dove l’ingerenza del rovere batte un colpo: difficile scorgerne disegno ed articolazione.

RICASOLI – Castello di Brolio

Beccato in una fase evidentemente scorbutica, la carnosità della materia (tanta), l’influsso del legno (tanto pur’esso) e l’assenza di una reale distensione ne rendono il quadro ancora confuso. Qualcosa cova sotto, lo senti, non resta che attendere una luce migliore.

ROCCA DELLE MACIE – Riserva di Fizzano

Dà il meglio di sé ai profumi, che fondono efficacemente calore alcolico, solarità di frutto e “indole” mediterranea. Al gusto spinge e ce la mette tutta, ma la sensazione fruttata è prevaricante e fin troppo matura, l’impianto caldo, la trama larga.

FERNANDO PARDINI

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