Recensione / “A capotavola”, di Laura Grandi e Stefano Tettamanti

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acapotavola“A capotavola”: leggendo il titolo di questo libro, e soprattutto leggendo il libro, ci piace pensare che a capotavola ci siamo noi, noi lettori. La tavolata è enorme, piena di personaggi, importanti e/o curiosi: politici, cuochi, letterati, figure di fantasia, che hanno un legame forte e palese o magari più sotterraneo con il cibo e la gastronomia. E stando dalla posizione privilegiata che è il capotavola, si possono osservare i commensali, dove si sono seduti, cosa magari si dicono fra loro.

Il rigoroso ordine alfabetico mette vicino, proprio all’inizio del volume, due grandi testimoni della cucina di due civiltà diverse nello spazio e nel tempo: a Muhammad Al-Baghdadi, compilatore nel 1226 di un ricettario (il Kitab al-tabik, Libro di vivande) che rimanda alla cucina delle Mille e una notte, segue infatti Marco Gavio Apicio, “sgavazzatore romano” vissuto a cavallo dell’anno zero, una sorta di religioso dell’eccesso che mangiava lingue di fenicottero e di fringuello, ingozzava oche di fichi secchi e vino mielato, che sperperò un patrimonio enorme e, una volta azzeratolo, si suicidò per non dover abbassare il suo stile di vita. E senza fra l’altro essere, come pare ormai certo, l’autore del De re coquinaria, ricettario in dieci volumi comprendente 468 preparazioni.

Gli invitati alla tavola che non potevano mancare ci sono: da Pellegrino Artusi, rievocato attraverso l’interessante, tenera e un po’ adorante intervista rilasciata a La Cucina Italiana dalla devota cameriera Marietta Sabatini, al Gianni Brera de La pacciada, a Luigi Veronelli, sempre molto venerato, di cui viene descritto il sodalizio con l’ingiustamente meno celebrato Luigi Carnacina che invece sprovincializzò assai la nostra cucina e la sistematizzò in una raccolta di 3715 ricette (“La grande cucina“).

Stando a capotavola sicuramente saremmo incuriositi da Jean-Anthelme Brillat-Savarin, che si dovette stampare a proprie spese quella Fisiologia del gusto che diventerà moda e tormentone intellettuale, descritto da Dumas come vigoroso mangiatore più che fine intellettuale, volgarotto nell’aspetto e fuori moda nel vestire ma che dimostrò, e fu una vera rivoluzione, che l’atto del mangiare ha i suoi codici, compiendo così una rivoluzione culturale peraltro iniziata con gli Almanach des gourmands di Grimod de La Reyniere (c’è naturalmente anche lui).

Come non potrebbero mancare i sommi cuochi francesi Careme ed Escoffier, non manca neanche chi l’èra Escoffier si incaricò di chiudere con il nuovo culto della cucina tradizionale e del territorio, quel Maurice Edmond Sailland detto Curnonsky fondatore della Académie des gastronomes e redattore de La France gastronomique.

Poi ci sono gli invitati ai quali non avremmo mai pensato, ma importanti per l nostro quotidiano: Joseph Leopold Coyle, inventore del contenitore per il trasporto delle uova che ci risparmia tante rotture e sprechi, André Michelin inventore del concetto di Guida gastronomica, Justus Von Liebig, antesignano della scienza applicata alla cucina… molecolare?

Scrittori (Ernest Hemingway, naturalmente, poi Georges Simenon, cresciuto fra la cucina vallone del padre e quella alsaziana della madre; Agata Christie, maestra in avvelenamenti, Paolo Monelli, ma anche Joseph Conrad che diligentemente e non senza sforzo si impegnò nello scrivere una introduzione ad un libro di cucina della moglie) e personaggi frutto della fantasia (l’Anton Ego del film Ratatouille, o la Nonna Papera, dietro la quale si scorge la figura di Luisa Ribolzi, la professoressa universitaria che dietro le quinte compilò il mitico Manuale tradendo la sua italianità con la torta di mele ad un solo un disco di pasta e non a due, come si fa negli Usa confinando nel mezzo le fette del frutto.)

Come non può mancare la grande storia: si scorgono Robespierre e Thomas Jefferson che liberò uno schiavo a patto che imparasse la cucina francese; si seguono conversazioni sorprendenti, come quelle tra Churchill (al quale è dedicata dal 1975 la Cuvée Sir Winston Churchill per la profonda amicizia che lo legò a Odette Pol Roger, entrata per via matrimoniale nel conseil d’administration della maison dello Champagne che amava di più), e Stalin, che lo fece mangiare “da schifo” alla cena offerta nell’agosto 1942 alla delegazione degli Alleati, ma che poi si riscattò in una cena privata alla buona (in realtà una vera e propria abbuffata) negli appartamenti al Cremlino.

Questi e tanti altri sono i personaggi, anzi i commensali, di questo A capotavola, che unisce erudizione ad un po’ di nozionismo. Ma dà l’idea, efficacemente e senza fronzoli, di quanti e quali ambiti innervi la cultura del cibo, che molti tendono ancora a minimizzare. O, peggio, a ridicolizzare.

Laura Grandi e Stafano Tettamanti
A capotavola
Mondadori (settembre 2013)
196 pagg.
18 euro – ebook a 9.99 euro

Riccardo Farchioni

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