Merano Wine Festival: un evento per i tempi che cambiano

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Nonostante il Merano Wine Festival abbia conservato, nella sostanza di evento, la sua formula originaria, appare ancora oggi attuale e “moderno” grazie a scelte importanti effettuate sulla comunicazione e sugli eventi collaterali. Questa sensazione è confortata dalla continua affluenza di pubblico e dal coinvolgimento di molte nuove realtà attraverso la formula del Wine Hunter, nel rispetto della quale vengono contattate e testate sempre nuove aziende vitivinicole.

Anche quest’anno, quindi, si è potuto godere di quella effervescente, euforica, simpatica confusione che anima da sempre la manifestazione. Le sale quasi sempre piene a qualsiasi orario, frequentatori appassionati e curiosi, molte conoscenze del settore ma anche molte aziende nuove hanno popolato il Kurhaus per i tre giorni della manifestazione principale.  A sostegno della sensazione che il festival abbia centrato il suo scopo c’è anche il record di presenze (ben 11000 distribuite in tre giorni), in aumento dell’8 per cento rispetto all’edizione precedente. La prova ulteriore che la manifestazione non perde il ritmo è l’intensa attività di conferenze che fanno da corollario all’evento, oltreché la giornata dedicata agli Champagne.

A nostro avviso, concentrarsi sul cambiamento climatico come ha fatto quest’anno il convegno principale del festival,  è un segnale importante e in piena sintonia con le vicissitudini che produttori ed aziende stanno vivendo proprio a causa di questo fenomeno.

Il  superamento del limite degli 1,5 gradi di aumento, oltre a provocare altre variazioni imponenti sul clima, costringerà la viticoltura a modificarsi profondamente, spingendo sempre più a nord e più in alto i vigneti o, in alternativa, accadrà di vedere le uve proprie delle zone più calde popolare sempre di più quelle superfici che fino a qualche decennio fa erano appannaggio dei vitigni più precoci. Una riflessione si impone dunque, nel (ri)pensare la viticoltura, e di conseguenza i vini, del prossimo futuro.

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Ma tornando alla manifestazione vera e propria, la formula collaudata  della degustazione libera e degli ospiti provenienti da altri paesi consente anche al visitatore esperto di incontrare sempre e comunque novità ed avere così nuovi punti di vista.

Passando alle degustazioni, di particolare interesse è stata quella dei vini di Alois  Lageder. Alla presenza della figlia Helena, recentemente entrata a far parte del team aziendale, assaggiamo lo Chardonnay Löwegang 2015, un vino affinato in barrique la cui fermentazione viene  affidata ai lieviti autoctoni, come naturalmente sembra richiedere la scelta biodinamica effettuata in campagna anni addietro.  Il colore intensamente dorato e l’ampio panorama olfattivo prefigurano una bocca strutturata e insieme fresca e minerale, fino al finale persistente e lievemente aromatico.

Lo stile dei vini di Lageder è variato nel tempo a seguito della scelta filosofica e operativa della naturalità, e prova ne dà l’altro vino bianco degustato: Gewürztraminer Am Sand 2016, che si allontana dalla fisionomia classica del traminer aromatico a cui ci aveva abituato molta enologia altoatesina e va a percorrere un proprio sentiero organolettico. Parte da un colore dorato brillante associato ad una palette olfattiva che ricorda la frutta verde, la mela cotogna, aromi dolci ma che mai sono riconducibili alla rosa, e semmai appare presente la speziatura e la lieve pietra focaia. In bocca è ampio e fresco con sapidità e consistenza che si accompagnano ad un finale persistente. Un vino che nasce da vendemmia di appezzamenti diversi, dove la sabbia è un componente comune e dove una parte delle uve subisce l’effetto della muffa nobile.

Ultimo assaggio di casa Lageder il Pinot Noir Krafuss 2015. Il pinot nero in Alto Adige pare aver trovato una seconda patria (vedi articolo precedente qui ) e anche questo vino, come già aveva dimostrato sin dalla sua nascita, ne conferma l’impressione. Un bel colore rosso granato di media intensità accompagna un profumo intenso di frutti e spezie, che in bocca si concretizzano in una freschezza quasi croccante e in un tannino fine e suadente che inviata a sperimentarlo su piatti raffinati e importanti.

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Pochi passi in compagnia dell’amica Valentina Fraccascia dell’agenzia di comunicazione Zed Com, ed eccoci nell’olimpo del Barolo. Poderi Luigi Einaudi è una firma prestigiosa delle Langhe piemontesi, con anima a Dogliani. E infatti il primo assaggio è un Dolcetto Dogliani Superiore Vigna Tecc 2016. Dal colore rubino carico e dalle note caratteristiche fruttate e speziate, si apre in bocca con una freschezza invitante e chiude con un caratteristico sapore di mandorla che ben si amalgama con il tannino fitto.

Il secondo vino che assaggiamo è il Barolo Cannubi 2014. Dalla collina più famosa del territorio del Barolo, Poderi Einaudi trae un vino che, sia pur ricavato da una annata non facile, esprime appieno le caratteristiche del nebbiolo di razza: colore rosso rubino con sfumature granate, profumo intenso di spezie, frutti rossi, ciliegia, ribes, bocca fresca con presenza ampia di tannini. Evidenzia una buona propensione all’invecchiamento anche se risulta già godibile. Il finale si caratterizza per la freschezza e la persistenza delle note speziate.

Il terzo ed ultimo vino selezionato da Helmuth Köcher tra quelli dei Poderi Einaudi è il Langhe Doc Luigi Einaudi 2013, blend di uve nebbiolo, cabernet sauvignon, merlot e barbera provenienti dai terreni di Barolo e Dogliani. Vino di grande struttura e colore, si caratterizza per la bocca ampia e morbida, la lunga persistenza e l’elegante aromaticità, che si evolve velocemente dal floreale al fruttato evidenziando una complessità importante.

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La successiva azienda dalla cui selezione siamo stati colpiti, è Monteverro. Nasce nel 2003 dalla intuizione e dalla passione di Georg Weber, che ha scorto nelle basse colline attorno al borgo toscano di Capalbio una enorme potenzialità. Dei 60 ettari della tenuta, 35 sono coltivati a vite (per il 60% cabernet sauvignon e saldo di cabernet franc), alcuni ad oliveto e i restanti lasciati a macchia mediterranea. Il taglio aziendale è nettamente francese: dall’enologo di riferimento (Michel Rolland) ai vitigni impiegati, fino al taglio stilistico.

La tenuta si affaccia sul mar Tirreno e su quella bella fascia di Toscana litoranea, e questo in qualche modo segna i vini nonostante la cifra stilistica assunta. Partiamo con la degustazione di Monteverro 2014, uvaggio bordolese con cabernet sauvignon e franc in maggioranza, poi merlot e una piccola percentuale di petit verdot, affinato per il 70% in barrique nuove per  24 mesi. Vino di spessore sia per l’uvaggio che per la struttura, nell’annata 2014 gode della maniacale selezione delle uve e della freschezza del millesimo per esprimere un equilibrio invidiabile, sia pur derivato da un ambiente apparentemente votato alla potenza e all’opulenza. Così al profumo esprime frutta e spezie in ampia gamma, con note balsamiche e di erbe aromatiche a commento; in bocca la freschezza sostiene un ampio volume e la bella persistenza ne fa un vino di alta gamma, davvero completo.

Il Tinata 2014 è un vino che, per espressa volontà aziendale, si rifà ai vini della valle del Rodano, e infatti l’uvaggio, che deriva dai quattro ettari a ridosso della macchia mediterranea, è composto da syrah e grenache rispettivamente al 70 e 30 per cento.

Dopo la fermentazione a temperatura controllata affina in barrique -la maggior parte nuove- per un 50% e per l’altro 50 % in cemento. Di un rosso rubino intenso e limpido, al naso esprime forza ed intensità sulle note di erbe aromatiche, spezie (pepe) e floreale. In bocca è dolce più che fresco, con note fruttate di ciliegia e finale caldo. Vino molto convincente.

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Spostandoci in area internazionale è d’obbligo segnalare Chateau La Tour Figeac 2010, una espressione canonica dei vini di Bordeaux, e dei Saint-Emilion in particolare, con tutte quelle caratteristiche che ne hanno fatto un classico a livello mondiale: colore profondo, naso fruttato, speziatura leggera ma prodiga di sfumature, ottima freschezza ad accompagnare la grassezza del sorso, dote tannica molto fine, chiusura lunga e persistente.

Si conclude qui la nostra visita al Merano Wine Festival 2018 il quale, oltre che per la selezione enologica, si caratterizza per l’occhio sempre più attento verso l’ambiente e verso tutto ciò che al vino è collegato.

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Lamberto Tosi

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