Tenimenti del Belìce: la vigna, il medico-contadino e Nino u’ poeta

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Tra gli individui della stessa specie esiste un’ampia variabilità dei caratteri; ve ne sono di più lenti e di più veloci, di più chiari e di più scuri, e così via (C. Darwin )

E comunque non sarò mai in linea con i tempi, con i cambiamenti, con le cose che si modificano e ci modificano. Questo perché mi perdo nelle sfumature e nei piccoli gesti. Anziché pianificare una “Zoom convention “  o un “Webinar “ sul mondo del vino con qualche collega o professionista  food&wine, passo il tempo in conversazioni telefoniche con amici produttori sparsi per lo Stivale. Ci confrontiamo non solo sulle difficoltà che stiamo vivendo ma anche su quello che non abbiamo ancora capito della vita, oppure sull’ultimo vino che ci è piaciuto e su quanto ci mancano le discussioni a tavola su quel produttore o su quell’altro.

Niccolò Matranga: ……caro Marco, avremmo dovuto vederci giù da noi, assaggiare le nuove annate assieme e farti vivere quello che considero la mia Magna Grecia. Penso purtroppo che non ci si possa vedere ancora per chi sa quanto. Senti, io e Vitalia pensavamo di mandarti su i vini.

Rimango sempre stupito dai gesti di gentilezza. Gentilezza: dal latino “gentilis, che appartiene alla gens, cioè alla gente”. Fantastico. Per i nostri avi latini, che inventarono questa parola, la gentilezza è insita nella nostra essenza. Quindi è congenita in noi questa capacità di creare gesti di delicatezza, amabilità, nobiltà, premura ed altro ancora.

Niccolò “Nick“ Matranga è un’animo nobile e gentile appartenente -forse- a una stirpe di coloni siciliani o di alchimisti saraceni; la sua indole è divisa fra terra e scienza. In paese, a Montevago, in provincia di Agrigento, lo chiamano “ il dottore contadino “. Non è un medico che per vezzo fa il contadino, Niccolò è un forese prestato alla medicina, o viceversa, e incarna la Sicilia più generosa. La sua vita si spende fra i reparti di terapia e i filari dell’azienda agricola di famiglia, Tenimenti del Belìce, gestita assieme alla moglie Vitalia.

Niccolò: “….. ho sempre fatto vino da che mi ricordi. Mio padre aveva un piccolo pezzo di terra e la vendemmia per me era un rito, non ne ho mai mancata una. Per quello che riguarda la professione medica, beh, mi riusciva familiare avere a che fare con i numeri, teoremi e trattati di chimica. Intraprendere lo studio della medicina è stato una conseguenza di una mia attitudine, o forse dovevo sistemare qualche situazione carmica di vite precedenti. La mia natura comunque appartiene alla terra. E’ utile per il mio spirito vivere nella vigna, respirare tra i filari. Ho bisogno di stare sul trattore a lavorare, oppure in cantina. Nonostante i turni in ospedale, riesco ad andarci spesso. Comunque, negli anni, assieme a Vitalia e a mio suocero abbiamo messo insieme degli ottimi collaboratori che ci aiutano.

Conobbi Niccolò e Vitalia al NOT di Palermo, la “rassegna dei vini franchi” (leggi qui, e qui, e qui e ancora qui ). Ricordo bene i loro volti: sorridenti, abbronzati, solari. Al loro banco d’assaggio si respirava leggerezza ed entusiasmo, tant’ è vero che spesso era pieno di ammiratori. Le loro creazioni furono fra le emozioni più belle che portai con me al ritorno dalla Sicilia.

Nicolò: “ i miei studi di medicina fecero crescere ancora di più la passione per la vigna. Tutto quello che Pasteur insegnava avveniva nei processi di cantina, ed io lì potevo intervenire. Trovai con entusiasmo un linguaggio comune per la comprensione dei cicli agronomici e di vinificazione. Cominciavo a realizzare l’affinità che c’era fra l’organismo dell’ essere umano e  l’organismo della vite. La cellula del nostro corpo respira allo stesso modo della vite.

La principale risorsa economica della Valle del Belìce è la produzione agro-alimentare e la coltivazione dell’olivo, nonché dell’uva. Notizie storiche riportano che fin dall’insediamento delle prime popolazioni e dalla nascita di Selinunte gli abitanti coltivarono e diffusero la cultura dell’ulivo spingendosi all’interno, nella valle del Belìce. Per questo la città di Selinunte divenne un importantissimo centro di commercio per tutta la Magna Grecia e non solo.  Grazie alla propria flotta le derrate alimentari provenienti dal territorio quali vino, cereali e olio si muovevano verso il Pireo e tutto il bacino del Mediterraneo.

Niccolò: “fu mio suocero Nino a creare questa realtà. Oggi ha novant’anni ma lo spirito battagliero e la sua saggezza ci supportano ancora tanto. In paese lo chiamano Nino u’ poeta. Dalle sue giornate in campagna nascono i suoi versetti. Una dote innata, ma di sicuro fondamentale per lui, è il rapporto con la terra. La natura è la sua fonte di ispirazione. Quando scendi lo devi conoscere, qua da noi è un mito. Fu lui che, oltre ai classici vitigni siciliani, mise a dimora il Sangiovese in contrada Saccafena quarantasei anni fa (n.d.r.). “

Vitalia mi racconta che i terreni di proprietà sono formati da una composizione di suoli a medio impasto con prevalenza calcarea, a discapito dell’argilla. Le brezze marine e le favorevoli altimetrie aiutano a mantenere le temperature miti, così le maturazioni e le concentrazioni virano sulla finezza anziché sull’opulenza.

Mio padre Nino“, continua, “scelse il Sangiovese in base ad esigenze produttive importanti : resistenza alle patologie più comuni, oidio e peronospora, alta resa e ricchezza in colore. Innanzitutto ci furono alcune “congiunzioni astrali”. Nella masseria qui vicino, era il  1975, cercavano cultivar innovative. Fra le maestranze che lavoravano lì, così mi hanno raccontato, c’erano delle persone che erano state a lavorare nel grossetano e nell’aretino, dove oltre alla Vernaccia si coltivava anche questo Sangiovese grosso. Questi hanno “delicatamente” suggerito che tale vitigno aveva le caratteristiche richieste. I responsabili si sono messi in macchina sono andati a visionare gli impianti ed è stato amore fulmineo. Circa un paio di anni dopo i contadini di zona, saputo di questa cultivar così vigorosa dai grappoli enormi e molto produttiva, iniziarono ad adottarla. Fra questi c’era mio padre, che scelse però l’utilizzo del tendone come forma di allevamento. Comunque mi darai le tue impressioni appena ti arriva.

Terminiamo la chiacchierata telefonica parlando dei colori che ha la Sicilia in questo periodo, della fragranza di zagara e dell’ odore del mare che arriva fin su a Montevago. Nei saluti che fanno da corolla alla nostra conversazione traspare entusiasmo, nonostante tutto. Tanta voglia di ritornare alla vita, agli abbracci, ai confronti, agli appuntamenti disdetti. Ma è ancora tempo di aspettare.

Nell’attesa del nostro prossimo incontro, in una mattina ancora fredda, ho ricevuto il cartone. I mittenti sono Niccolò e Vitalia. Immaginerò di essere là, per sentirmi accarezzato dai venti guardando intorno la grazia del paesaggio che ancora non ho visto. Forse i sentimenti possono alterare le “visioni“ degli assaggi, ma non mi importa, stapperò questi vini immaginando il suono della voce di Nino u’ poeta che mi racconta la sua Sicilia e mi sentirò bene.

Fiorale – Zibibbo Doc Sicilia 2019 

La sua genetica rimanda alla famiglia dei Moscati, al Moscato d’Alessandria in questo caso, un’uva che proviene dal bacino orientale del Mediterraneo. Comunque, sarà la suggestione errante di questo vitigno, ma nel suo nettare io ci trovo una nota marina che mi tocca le narici e veicola profumi  di fiori d’arancio, mandorla, scorza di agrumi, frutti gialli e bianchi. Una percettibile tinteggiatura erbacea arricchisce il bouquet, la bocca è succosa e di fresca beva, il sorso si distende sul palato con naturale freschezza e godimento.

Fiorale – Grillo Doc Sicilia 2019

Oltre alle classiche note di fiori e frutti, la sorpresa qui sta nelle fragranze balsamiche e nelle note iodate. E nelle fumature delicate di alloro, timo, maggiorana, pepe bianco, alghe marine. La buona sapidità, probabilmente apportata da un suolo più calcareo che argilloso, supporta la virtuosa struttura del vino, e lui non fa altro che invitarti a sorseggiarlo e a dimenticarti di impegni, scadenze e bollette da pagare.

Fiorale – Nero d’Avola Doc Sicilia 2019

Un vino giocato più sulle sfumature che sulla potenza, forse merito di una visione aziendale che predilige le finezze alle asserzioni. Devo prendere atto di non possedere la preparazione che vorrei sul Nero d’ Avola, quindi me lo gusto senza fare troppi paragoni. Un vino netto, essenziale, soprattutto immediato. I sentori di piccoli frutti rossi maturi, in evidenza, stuzzicano naso e palato.

Saccafena 2018 (sangiovese 100%)

Sento il Sangiovese ma non riesco a connotarlo in provincia di Agrigento. Merito sicuramente dell’interpretazione soggettiva di Nicolò e dell’empatia fra uomo e territorio. La trama calcarea che spicca sul medio impasto del suolo di Montevago snellisce e ingentilisce un Sangiovese che esula dai terreni caldi e dalle maturazioni spinte. La tensione gustativa e aromatica gioca su una base acida importante, che sostiene le note di frutti rossi maturi (mai in eccesso) e floreali (mai in tisana). La beva è dritta, snella, appagante: un Sangiovese che veleggia attorno ai lidi della finezza, più che della sostanza bruta.

Fiorale Olio Extravergine di Oliva 2020 (da cultivar Nocellara del Belìce 100%; non filtrato, molito a freddo)

Rimango spiazzato da questo olio, che affronto da umile estimatore. Complesso e articolato, qui senti la Sicilia più elegante. Mi sorprendono i sentori di fiori bianchi, addirittura un cenno di margherita che ritrovo sotto le tonalità di rosmarino, erba tagliata e pepe bianco. Rimandi di agrumi che si intervallano a delicate note di rosa. La bocca racconta di burro, panna e lievito di birra, che frenano un susseguirsi di note di erbe amaricanti per finire con un incontro di olive macerate sott’olio con scorza di arancio essiccata e finocchietto selvatico, come faceva mia nonna. Un capolavoro!

Osservando la natura che rinasce tutt’intorno alle mia colline, il pensiero va a una frase che mi dà pace : “Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso “ (Anne Herbert)

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Tenimenti del Belice – Piazza Matteotti 12 -Montevago (AG) – www.tenimentidelbelice.it

 

 

 

 

Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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