Biostatica

8
12045

Repetita non semper iuvant, anzi numquam rompunt, dicevano i latini. Poi però l’attualità ripropone l’ormai rimasticata polemica bio/biodinamica, e tocca rassegnarsi a tornarci ancora una volta sopra.

Hai voglia a parlare di biodinamica, a cercare di progredire nella conoscenza di ciò che per molti è incapsulato in un bozzolo inconoscibile. Dopo molti anni di diffusione delle pratiche biodinamiche in campo vitivinicolo, la situazione è statica: da un lato i sostenitori, impossibili da scalfire nella loro granitica – e acritica – adesione ai precetti steineriani. Dall’altro i detrattori, spesso altrettanto refrattari a ogni apertura di credito.

Qui do per scontato che il lettore sappia che cavolo sia la biodinamica, almeno nelle sue manifestazioni agronomiche. In estrema sintesi si tratta di un insieme di procedure bizzarre e senza fondamento razionale proposte dall’antroposofo Rudolf Steiner nei primi decenni del secolo scorso: sotterramento in vigna di corni di bue pieni di letame, uso di preparati improbabili disciolti in acqua dinamizzata (vale a dire agitata in senso circolare per centinaia di volte), et similia.

A intervalli regolari l’attualità ripropone il tema, e con un riflesso pavloviano si riattivano le due fazioni contrapposte. In questi giorni la potecarella è partita dall’inserimento (all’articolo 8) dell’inviso termine biodinamica in un disegno di legge sull’agricoltura biologica. Da qui le vibrate proteste della senatrice Elena Cattaneo e di una ventina di scienziati italici, che parlano apertamente di “truffa”.

Con una disinvoltura che i più seri non mi perdonano, io sto nel mezzo; do un colpo al cerchio e uno alla botte, per restare in tema. L’argomentazione principale dei simpatizzanti della biodinamica è di ordine statistico: una fetta significativa dei migliori (e peraltro più costosi) vini del mondo è prodotta con metodi biodinamici. E quindi chissene di quello che fa il produttore, basta che il vino sia buono ovvero eccellente. I duri e puri, per parte loro, non si sognano di mettere in discussione il verbo steineriano: è così e basta.

Penso invece che la possibile verità stia in questo: dietro la colorita accozzaglia di pratiche biodinamiche, che viene rigettata dalla scienza attuale, si può celare un fondamento che verrà inverato dalla comunità scientifica in un futuro più o meno prossimo.

Qualche anno fa scrivevo questo, e rileggendomi mi trovo d’accordo con me stesso:

“Una visione laica del vino non può e non deve escludere l’esistenza di forze al momento inafferrabili, proprio perché una visione laica è per definizione non dogmatica. Il fatto che non sia ancora dimostrata l’influenza di energie focalizzate da alcune pratiche biodinamiche non significa che tali energie non siano reali. Significa che la scienza attuale non può verificarne strumentalmente gli effetti, e che quindi oggi tali pratiche non rientrano nel novero di quelle di cui si è accertata scientificamente l’efficacia. Proprio dal punto di vista razionale non si può tuttavia escludere che in un futuro più o meno lontano ciò che rubrichiamo oggi come superstizione o fumisteria irrazionale trovi il conforto di una conferma scientifica.

Se a un fisico della fine dell’800 qualcuno avesse descritto gli effetti dell’entanglement quantistico, lo scienziato avrebbe probabilmente riso in faccia all’interlocutore, definendolo un simpatico ciarlatano.

Per quanto ne so, il buon Steiner poteva benissimo essere un eccentrico che ha trovato qua e là, per vie sconclusionate e magari pure casuali, il modo di intercettare e incanalare fenomeni fisici – e sottolineo fisici – che non sono rilevabili con le analisi scientifiche attuali.

E forse è andata proprio così.”

 

 

 

Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

Previous articleQuaderni lucchesi/1 – Tenuta Lenzini, Fabbrica di San Martino
Next article5-27 giugno, Taste Alto Piemonte 2021
Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

8 COMMENTS

  1. No caro Fabio, non confondiamo Scienza e scienza. Troppo facile dire che la Scienza potrebbe prima o poi spiegare quello che si vende già come ufficiale. Eh no, sono i biodinamici che devono spiegare perché quella pratica da stregone funziona e non il contrario. Non basta dire c’è qualcosa di ancora insoluto… bisogna portarne le prove. Così come ha fatto Einstein superando Newton e come ha fatto Planck dimostrando, con i suoi amici, che l’energia DOVEVA essere rilasciata a “pacchetti”.
    Il vino è un capolavoro naturale (i lieviti sono nati quando l’atmosfera non aveva ancora ossigeno) e non va lasciato in mano a stregoni senza arte né parte. Ricordiamo che le leggi di Newton, dopo 350 anni, sono ancora valide in un sistema planetario, e le sonde spaziali hanno solo “migliorato” la precisione già insite in quelle leggi. Che il vino sia più caro è un dato tipico di chi sfrutta la magia sapendo di avere a che fare con un popolo sempre più ignorante. Che sia più buono è tutto da dimostrare e non sono certo le solite guide a poterlo fare.
    A quando il vino migliore su una terrapiatta?

  2. Caro Fabio, mi fa un po’ effetto vedere il faccione di Steiner proprio in prima pagina, e non posso quindi non dire la mia, che ho già detto, estensivamente, In due articoli sulla nostra rivista:

    https://www.acquabuona.it/2020/04/covid-scienza-vini-naturali/
    https://www.acquabuona.it/2020/05/covid-la-scienza-e-i-vini-naturali-2/

    Riassumo in poche parole: l’agricoltura biodinamica è un coacervo di sensate pratiche biologiche e di magia. Separare il grano dal loglio, lasciando da parte la magia, avrebbe più di un vantaggio: solleverebbe gli agricoltori da un pesante fardello di cose inutili, ci libererebbe da chi lucra sulle credenze (certificatori e simili) a danno degli stessi agricoltori e rinsalderebbe quel patto di fiducia che deve sempre esistere tra chi propone un prodotto e chi lo consuma. Per un prodotto come il vino, fortemente appartenente alla sfera materiale, io consumatore devo razionalmente credere a quello che tu, produttore, fai.

    Detto questo mi permetto un paio di commenti al tuo articolo, ricordandoti che i cerchiobottisti già li aveva messi all’inferno il sommo poeta, ben sette secoli fa.

    Trovo superficiale l’affermazione che i migliori vini del mondo siano prodotti con metodi biodinamici. Intanto non lo credo vero, statisticamente. Poi direi che c’è un po’ di inversione di causa ed effetto quanto parli di vini costosi. Da una parte aziende che già facevano vini costosissimi non hanno difficoltà alcuna a spendere un po’ di soldi per appiccicare sulle loro bottiglie una ulteriore medaglietta, a fini di marketing. Dall’altra, vista l’attuale buona accoglienza mediatica, usare la parola biodinamico rende più facile vendere il vino e anche aumentarne il prezzo. E questa, scusatemi il cinismo, credo che sia la ragione più forte che spinge i produttori ad adeguarsi al verbo.

    Il successo presso i consumatori ha invece una ragione diversa. Sono abbastanza convinto che il 99% di loro non abbia idea di cosa significhi biodinamica, se non una vaga parentela con la naturalità del vino. Leggono di vini buoni associati a pratiche biodinamiche, non chiedono di più, l’idea è passata. Anche il nostro Fernando, proprio in concomitanza con questo tuo articolo, si lascia andare a un “La biodinamica nel frattempo ha generato humus e vita…”. Una affermazione che definirei “giornalistica”, ma tanto basta al consumatore acritico.

    Ma parliamo ora di “entanglement”, un fenomeno fisico di certo intrigante. Non so se lo hai citato a caso o se magari qualche steineriano vede un collegamento tra questo e la fermentazione nel corno di bue. Fatto sta che proprio da questo esempio si può capire la differenza. l’ “intreccio” è un fenomeno quantistico ben preciso, previsto da una teoria (una di quelle cose con le formule e i numeri) e senza dubbio mette a dura prova il nostro modo di concepire il mondo. A nostra scusa abbiamo il fatto che tale fenomeno è importante solo a livello microscopico, e non a quello macroscopico, non al livello della nostra esperienza sensoriale, non quando si pigia l’uva, per intenderci!

    Però da come lo hai introdotto e da come lo paragoni alle “forze al momento inafferrabili” sembrerebbe quasi che qualcuno lo abbia previsto con largo anticipo ma che ci siano voluti decenni e decenni per essere riusciti a misurarlo. Non è così. La teoria ha previsto alcuni effetti, gli esperimenti sono stati fatti, e l’effetto è stato misurato, con precisione, e innumerevoli volte in esperimenti tutti diversi. Non fu facile per gli scienziati dell’epoca digerire la cosa, va proprio contro il senso comune, ma una volta provata ci fu poco da fare, persino ad Einstein andò giù male.

    Concludo: ci sono cose che esistono, magari strane, ma ci sono, si misurano, si possono verificare. Altre cose sono credenze, non esistono (né per la scienza, né per il buon senso) e non fanno il vino buono. Poi si può credere a tutto, alla pranoterapia, all’oroscopo, alla terra piatta… sono per la libertà di credo e di opinione, ma non nelle leggi dello Stato, quello rimanga laico.

    Lunga vita quindi alla Senatrice Cattaneo, che risolleva un po’ la fiducia nel nostro parlamento!

  3. Grazie dell’argomentato commento, Luca. Ti rispondo sulle due obiezioni che sollevi. Se consideriamo “migliori vini del mondo” una ristrettissima cerchia di etichette riassorbite nella leggenda (cinque? sei?, dieci?), la mia affermazione “una fetta significativa dei migliori (e peraltro più costosi) vini del mondo è prodotta con metodi biodinamici” non mi pare presti il fianco alla critica di superficialità.
    Allo stesso modo in tutta franchezza non ti seguo nel tentativo di disarticolare l’evidente e direi ovvia affermazione per cui “se a un fisico della fine dell’800 qualcuno avesse descritto gli effetti dell’entanglement quantistico, lo scienziato avrebbe probabilmente riso in faccia all’interlocutore, definendolo un simpatico ciarlatano”. Fine dell’800 ti sembra troppo ravvicinato alle teorie einsteiniane? allora diciamo metà dell’800, il concetto di fondo non cambia: in una fase dello sviluppo del pensiero critico umano nessuno avrebbe potuto immaginare che esistesse un fenomeno simile (nonché un’ampia varietà di altre evidenze scientificamente assodate oggi, impensabili e impensate prima).
    Tu scrivi: “la teoria ha previsto alcuni effetti”, ma direi che è questa un’affermazione superficiale. Quale teoria? di chi? in quale epoca?
    Quindi con tutto il rispetto, le fondamenta del mio ragionamento mi sembrano solide. Solide e peraltro banali, direi. Non certo il frutto di intuizioni raffinatissime.

  4. Caro Fabio, non ribatto sulla superficialità, che si riferiva a una sola frase e non al resto del pezzo in cui trovo anzi molto azzeccata la descrizione iniziale della biodinamica (che non lascia dubbi sulla bizzarria della cosa), vado all’entanglement.

    Il mio commento non scardina assolutamente quanto scrivi, ma anzi lo riprende per mettere in risalto la differenza tra la scienza e la credenza. Come ben dici molti avrebbero dato del ciarlatano a chi avesse presentato tale fenomeno. Una patente di ciarlatano che sarebbe rimasta se non per il fatto che se un fenomeno esiste lo si può verificare, anzi, andrò oltre, un fenomeno esiste SOLO se lo si può verificare, altrimenti è speculazione. L’entanglement è stato infatti verificato, e quindi esiste. Difficilmente vedo verificabile la parte di magia che sta nel biodinamico, tanto è vero che pochi ci si provano (io non perderei un secondo di tempo per provare che se il sole attraversa la costellazione del sagittario allora l’uva matura meglio… la ricerca scientifica non cerca cose a caso, prima le ragiona).

    Quanto poi alla tua controaccusa di supercialità, come sai sono un fisico, e semplicemente il commento non mi sembrava il luogo adatto per aprire una discussione di meccanica quantistica 🙂

  5. Bene Luca, allora in buona sostanza concordiamo, al netto del dettaglio marginale sulla superficialità.
    Infatti tu da uomo di scienza sei tenuto a riconoscere razionalmente che c’è ancora molto da scoprire e da verificare. Negare questa ovvietà significherebbe credere che la scienza abbia dimostrato tutto il dimostrabile, e che quindi si possa dichiarare la biodinamica una truffa non già per il passato e per il presente, ma anche ipotecando il futuro. Ciò che oggettivamente sarebbe una presa di posizione antiscientifica.

    Io ho formulato solo un’ipotesi interpretativa: essendo un’ipotesi non ha in tutta evidenza alcuna pretesa di essere una verità assodata.
    Il nucleo di questa ipotesi poggia su dato di fatto storico direi incontrovertibile: nel corso dei secoli il pensiero – protoscientifico e poi scientifico – ha scoperto e poi dimostrato fenomeni che in precedenza erano ignoti e nella maggior parte dei casi (tranne le eventualità di impianti teorici che precorrevano i tempi) imprevisti e spesso sorprendenti.

    Stante il punto precedente, ho immaginato che gli effetti del bric-à-brac biodinamico, oggi indimostrati e soprattutto indimostrabili, potessero venire in futuro riassorbiti in una dimostrazione scientifica. E sottolineo “potessero”: a significare che forse accadrà e forse no.
    Questi passaggi mi sembrano perfettamente logici e ispirati a una visione del tutto laica. Senza alcun atto di fede acritica.

    Buona serata e buon fine settimana, un saluto cordiale

    Fabio

  6. Il mio commento precedente vale anche come risposta a Vincenzo Zappalà: non ho scritto in alcuna parte del post, come sembra tu abbia afferrato, che considero le pratiche biodinamiche di efficacia accertata. Ribadisco e copioincollo: ho immaginato che gli effetti del bric-à-brac biodinamico, oggi indimostrati e soprattutto indimostrabili, potessero venire in futuro riassorbiti in una dimostrazione scientifica. E sottolineo “potessero”: a significare che forse accadrà e forse no.
    Questi passaggi mi sembrano perfettamente logici e ispirati a una visione del tutto laica.
    Quindi non dò per certo che le tecniche dell’agricoltura biodinamica siano efficaci e che la scienza deve oggi dimostrarlo.
    C’è una bella differenza.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here