Quaderni montalcinesi/2. Pian dell’Orino, Stella di Campalto

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PIAN DELL’ORINO

Che il destino di Caroline Pobitzer fosse segnato, e che la vigna e il vino potessero diventare la sua vita, forse era già scritto. Il segnale in effetti è forte e chiaro, e ha preso dimora quasi 400 anni fa nel medievale Castel Katzenzungen di Prissiano, non lontano da Merano, che la sua famiglia acquistò e restaurò quando lei era poco più che una bambina.

Ebbene lì c’è la vite estesa più vecchia d’Europa, e probabilmente è stata una diramazione di quelle radici secolari ad aver compiuto un viaggio spazio-temporale fino a Montalcino, lì dove io e Caroline ci siamo conosciuti tanti anni fa: lei aveva appena fondato Pian dell’Orino e stava mettendo su vigna. Era molto giovane.

Poi c’è Jan Erbach, di origini tedesche, suo marito, ovvero  l’anima tecnica di Pian dell’Orino. Il suo maniacale puntiglio, la ricerca costante sulle interazioni suoli-vitigni ( che bello il vigneto sperimentale dove in ogni filare ci è stato piantato un clone diverso di sangiovese su un diverso portainnesto), gli studi sulle matrici geologiche di Montalcino hanno dell’incredibile per dettaglio e profondità di analisi. Uno di quei casi in cui una viticoltura naturale dai forti impulsi biodinamici si ammanta di un costrutto tecnico-professionale ineludibile.

Jan pensa molto e i suoi pensieri corrono veloci, mentre le parole miracolosamente si raccordano in concetti precisi, ponderati, dialettici. E i vini, i vini di Pian dell’Orino, sembra abbiano introiettato quel flusso di pensiero succhiando tutto l’immaginabile da un indiscutibile talento.

Dall’individuazione dei cru, anche all’interno delle medesime parcelle (4 areali diversi a comporre il mosaico, da Pian dell’Orino a Pian Bassolino, da Cancello Rosso a Scopeta), e dalle conseguenti vinificazioni separate, se ne ottiene una tavolozza di colori da poter dipingere su tela: i Brunello rappresentano una sintesi preziosa di grazia e austerità, il Rosso di Montalcino (prendi il 2018) ti fa capire fino a che livello di trasparenza espressiva può arrivare un frutto, legando assieme materia e sensualità.

Jan e Caroline sono una bella coppia, battibeccano in continuazione ma si vogliono un gran bene: lo vedi dagli sguardi e lo vedi dai vini. Nel frattempo, là fuori, sta nascendo un nuovo vigneto con piante maritate.

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STELLA DI CAMPALTO

Io me lo ricordo bene, nei primi anni Duemila, quando comparvero sul mercato i Rossi di Montalcino di una sconosciuta e giovanissima Stella Viola di Campalto, nel frattempo insediatasi al Podere San Giuseppe, giù alla Velona. E la sottile ironia (eufemismo) di cui veniva fatta oggetto, quasi che nessuno volesse immaginare per lei un futuro all’altezza.

Si dà il caso però che i vini abbiano preso fin da subito una piega speciale, a suon di finezza, impalpabile seta tattile, fraseggio sottile dei profumi, ariosità nel disegno: quei vini cioé han parlato per lei, stabilendo nuovi paradigmi e sancendo la nascita di un talento.

Oggi Rosso e Brunello portano la firma incorporata. Li riconosci fra mille, e quasi non te lo spieghi fino a quale grado di luminosità interiore possa arrivare il non detto, e di quanta polvere possa far mangiare alle asserzioni.

Stella pratica una agronomia pulita da quasi vent’anni ed è una delle paladine della viticoltura bio a Montalcino. Con l’acquisizione di due nuovi appezzamenti di terra ha potuto coronare il sogno di possedere tutti i vigneti attorno alla proprietà. Con quelli ha chiuso il cerchio. Certo è preoccupata dei risvolti che i cambiamenti climatici, e non solo, stanno apportando sugli equilibri ambientali, e si chiede perché in molte zone i fiori non vengano impollinati più dalle api e le api non producano più miele. In un frangente epocale in cui il mantenimento di una terra pulita si è fatto esigenza, la piccola parabola di Stella di Campalto è un monito e uno stimolo al tempo stesso.

FERNANDO PARDINI

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