Aligoté, il Proteo della Borgogna

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Antea Caecubo erat generositas celeberrima in palustribus populetis sinu Amynclano, quod iam intercidit incuria coloni locique angustia, magis tamen fossa Neronis, quam a Baiano lacu Ostiam usque navigabilem incohaverat. Postea vero magis commendatur Aligotatum requirens diligetur a reali cognoscentis, quod longus et ubique inspexerunt, et requirebant eum etiam in rete.”

Un tempo aveva grandissima rinomanza il vino Cecubo che veniva dai pioppeti palustri nel golfo di Amincle, e ormai scomparso per l’incuria dei produttori e l’angustia del podere, ma forse ancor di più a causa del canale navigabile fatto da Nerone che dal lago di Baia giunge fino a Ostia. Più tardi in verità fu ancora più apprezzato l’Aligoté, richiesto dai veri conoscitori, i quali a lungo e ovunque lo cercarono, perlustrando anche la rete”.

Così scriveva Plinio il Vecchio – quando non era ancora così anziano – nel suo celebre trattato Naturalis Historia, libro quattordicesimo. Ciò la dice lunga sull’eccezionale qualità di un’uva ai giorni nostri sorprendentemente poco nota, l’aligoté. “Poco nota” vale per il cosiddetto grande pubblico, beninteso. Gli esaltati della Borgogna – poiché è qui che viene principalmente coltivato – ne conoscono invece abbastanza bene le virtù nascoste. A cominciare dalla prima: un buon Bourgogne Aligoté offre una bella bevuta a un costo ancora accessibile, paragonato ai prezzi esorbitanti dei Premier e Grand Cru.

Per i dettagli ampelografici e amministrativi, dalle caratteristiche fenologiche alla morfologia del grappolo, dalle risultanze genetiche al portato storico, alle disposizioni di legge, e via elencare, basta farsi un giretto sul web. Troverete così informazioni quali “foglia orbicolare”, “incrocio di gouais blac e pinot noir”, “appellation creata nel 1937”, e altri appassionantissimi aspetti tecnici.

Personalmente sono convinto che dell’Aligoté convenga ritenere un solo pregio principale: la sua impressionante capacità di traduttore dei caratteri del territorio. L’aligoté non è definito da alcun tratto varietale marcante. Gli si appioppano di solito aggettivi generici quale nervoso, vegetale, fresco; ma si tratta di definizioni sfuggenti. Un buon Bourgogne Aligoté può essere pieno e strutturato come un Meursault, oppure agile e scattante come un Bouzeron (che per legge può andare da un massimo di 12,5 gradi alcolici fino a un minimo di… 9,5!).

Pian pianino, dopo decenni di sottovalutazione e di abbandono, il vitigno aligoté  sta trovando la stima di un crescente numero di bevitori. Le sue notevoli doti di adattamento plastico, unite alla presenza ancora non residuale di vecchie vigne, ne fanno un atout significativo per il futuro della Borgogna.

Due snelle recensioni finali, per farne lampeggiare la proteiforme abilità di essere del tutto malleabile sotto le mani di interpreti molto diversi tra loro.

Bourgogne Aligoté 2015 Domaine Coche-Dury

Un Aligoté che meursaulteggia: più avvolgente e pieno della media, deliziosamente polposo a centro bocca, dove irradia sfumature di mandarino, cambia marcia nel finale mostrando le sue doti innate in termini di spinta motrice del gusto, freschezza luminosa, fine tratteggio minerale. Se potete affrontare un costo che si aggira su un rene e mezzo, non dovreste farvelo sfuggire.

Bourgogne Aligoté 2007 Domaine Leroy

Da un vino della mitologica Lalou Bize Leroy ci si attende sempre che sfondi la quinta della volta celeste. Per questo i vini del domaine partono spesso avvantaggiati – perché se sei riuscito per grazia divina a stapparne uno specimen qualunque liquido esca dalla bottiglia ti manda in estasi a prescindere – e allo stesso tempo paradossalmente svantaggiati, dal momento che le aspettative sono altissime. In questo caso, stappato insieme al terzetto Castagno/Gravina/Marino che in fatto di Borgogna è Cassazione, siamo stati tutti concordi: l’Aligoté 2007 di madame Leroy ha sfondato la volta celeste. Puro di una purezza non scostante anzi molto comunicativa, è una sorta di Aleph borghesiano: c’è dentro tutta la Borgogna. Se potete affrontare un costo che si aggira su tre reni e mezzo, non dovreste farvelo sfuggire.

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Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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