I migliori 2020 del 4° Concorso Nazionale Sauvignon Blanc: classifica e qualche riflessione

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Il Sauvignon blanc è vino-vitigno che gode di successo planetario. Da quattro anni, in Alto Adige, c’è un concorso enologico che mira ad indagarne potenzialità e stilistiche produttive nelle varie aree della penisola. L’evento è giovane, sta crescendo, e ha ancora poca rappresentatività nazionale, essendo gran parte dei campioni iscritti di provenienza altoatesina. La qualità media degli assaggi, però, è davvero alta: ho avuto il piacere di partecipare all’evento di premiazione svoltosi a Penone il 28 aprile, dedicato ai vini della vendemmia 2020, e vorrei condividere alcune riflessioni nate dagli interessantissimi momenti di approfondimento, che hanno dato valore e “sostanza” alla manifestazione.

Spunti nati dal confronto con un ristretto ma selezionatissimo parterre di enologi e giornalisti, scelti non solo per la loro competenza specifica in tema di Sauvignon Blanc (altrimenti il sottoscritto sarebbe forse stato fuori luogo…), ma soprattutto per la loro franchezza e trasparenza, per  un approccio a volte anche poco “politically correct“, ma dettato da sincera curiosità e passione (e qui mi rimetto in gioco alla grande!).

Iniziamo dai dati del comunicato stampa, che riporto testualmente:

Sono stati proclamati a Penone, in Alto Adige, i 10 migliori produttori di Sauvignon Blanc decretati dal 4° Concorso Nazionale del Sauvignon: la classifica conferma l’estrema qualità dei vini dell’Alto Adige e premia come primo classificato il Sauvignon Alto Adige Doc di Franz Haas, al secondo posto il Sauvignon Blanc Alto Adige Doc “Oberberg” della Tenuta Kornell e al terzo posto -a pari merito- il Sauvignon Blanc Alto Adige Doc “Quirinus“ di St. Quirinus e il Sauvignon Blanc Alto Adige Doc Andrius Südtiroler della Cantina Andriano.

Durante la premiazione Andreas Kofler, presidente dell’Associazione Sauvignon Alto Adige, si è congratulato con i vincitori e ha ringraziato tutti i produttori che hanno partecipato al concorso sottolineando che: “La nostra volontà è quella di offrire un palcoscenico di grande qualità dedicato a questa varietà tanto apprezzata in Italia e nel mondo. La presenza in classifica di produttori per lo più diversi rispetto alle passate edizioni e il poco scarto di punteggio tra le diverse posizioni dimostra non solo l’altissima qualità dei vini in gara ma anche quanto questo Concorso possa rappresentare un’importante occasione per celebrare il Sauvignon Blanc nelle sue diverse stilistiche produttive ed espressioni di terroir a livello nazionale“.


Il Concorso, che si è svolto il 28 aprile a Penone, è frutto di una attenta valutazione da parte di una giuria tecnica formata da 25 degustatori scelti fra enologi, sommelier e rappresentanti della stampa di settore, coordinata dal Sig. Moritz Trautmann. Oltre 80 i campioni di Sauvignon Blanc dell’annata 2020 che hanno preso parte al Concorso, provenienti da cantine di 9 diverse aree vitivinicole: Sicilia, Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige, Lombardia e Piemonte.

La premiazione della Top 10 si è svolta nell’ambito della Sauvignon Experience 2022, due giorni dedicati a quello che è il vitigno più coltivato in Alto Adige, nelle giornate di sabato 28 e domenica 29 aprile, quando visitatori ed appassionati hanno avuto la possibilità di degustare i migliori Sauvignon dell’annata 2020 presentati al Concorso e dialogare con i produttori “.

Fin qui il resoconto. Partiamo con le riflessioni. Quelle più interessanti sono state fatte durante una bellissima degustazione nel maso di Peter Dipoli, abbarbicato sulle colline di Penone, a 500 metri sul livello del mare, dove l’iconico vignaiolo aveva riunito un ristretto numero di degustatori, chiedendo ad ognuno di portare almeno una bottiglia di Sauvignon, da usare come “strumento” di discussione e confronto. Nei bicchieri si sono susseguite etichette famose e non, di annate recenti e storiche (fino a un 2002), di varie zone d’Italia e di Francia: una full immersion fantastica, e se l’aspetto organolettico è stato di altissimo livello, quello del dibattito è andato ancora oltre.

Condensare in poche righe oltre due ore di discussioni e punti di vista è arduo. Volendo fare una super sintesi direi: pirazine vs tioli. Dal punto di vista olfattivo il Sauvignon Blanc oscilla tra due estremi: note verdi-vegetali da un lato e aromi fruttati maturi, che ricordano gli agrumi e la frutta tropicale, dall’altro. Gli “arcieri” di questa esuberanza aromatica sono due composti chimici: le cosiddette pirazine, molecole responsabili dei tipici sentori erbacei, di peperone, di foglia di pomodoro, di finocchio, di asparago, di erbe aromatiche, e i tioli, che originano invece sensazioni più fruttate, di pompelmo, mandarino, lime, passion-fruit, uva spina, ginestra. In certi terroir e in certe vendemmie, può poi esprimere una personalità austera e ricca di rimandi minerali (pietra focaia in primis), con un bonus di acidità e freschezza che lo rende davvero completo.

Il fatto che il vino Sauvignon Blanc viri più da una parte che dall’altra dipende molto dalla maturità delle uve al momento della vendemmia. Con il procedere della maturazione, le pirazine tendono a degradarsi, mentre si formano i precursori dei tioli.

Quindi, semplificando, le note verdi-vegetali “piraziniche” tendono ad emergere in luoghi caldi, dove serve una vendemmia precoce che vada a salvaguardare l’acidità e non faccia salire troppo il grado zuccherino (e quindi alcolico). In territori più freschi e con determinate condizioni ambientali che consentano una lunga fase di maturazione post invaiatura, spesso sono invece le note “tioliche” ad emergere, donando ai Sauvignon maggior profondità e complessità.

Ora, il problema è che il lato tiolico è comune anche a molte altre varietà di uva – fiano, muller thurgau, riesling, vermentino, pecorino, tanto per citarne qualcuna … –  e in cantina è facile esaltarlo con certi tipi di lavorazione (in riduzione). Diventa attraente ma poco “differenziante”. Le pirazine sono invece assai meno comuni: la tentazione di amplificare quella loro espressione vegetale in modo che sia un elemento distintivo immediato – e quindi un passpartout commerciale efficace – è forte. In definitiva, è indubbiamente più facile – e più proficuo per il mercato – fare un bel sauvignon pirazinico, per suscitare l’effetto di riconoscibilità e di acquisto. Se si spinge il lato tiolico, il vino è più completo e complesso, ma “non è più Sauvignon!” ed è più difficile da piazzare, specie ad un pubblico poco esperto, che non ha ancora gli strumenti critici – né l’interesse, probabilmente – per andare a ricercare la complessità.

Ancora tanto devo capire di questo vino, ma l’idea che mi sono fatto è che forse, come in tante altre situazioni, vale il vecchio detto “la virtù sta nel mezzo”. Il Sauvignon diventa un vino unico, affascinante, attraente, quando trova il sottile equilibrio tra queste sue due anime, capaci di entrare in risonanza fra loro, con il terroir – unione di suolo, clima e uomo – a far da direttore d’orchestra. Alla fine, quello che davvero conta e che dovrebbe essere l’obiettivo dei produttori, al di là degli schieramenti, è che nel bicchiere vi sia un gran vino bianco di livello mondiale, come è nelle potenzialità di quest’uva e dei suoi territori più vocati.

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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