Cantina Girlan e il nuovo A. A. Schiava Gschleier Alte Reben 2020

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Parlare di Alto Adige significa anche raccontare la storia di secoli di attività vitivinicola. Se da un lato esistono bellezze paesaggistiche tra le più affascinanti al mondo, e le maestose Dolomiti rappresentano indubbiamente la punta dell’iceberg, anche le vigne, le strade del vino e le tradizioni altoatesine rimangono indelebilmente incollate nella mente del turista.

Personalmente, dopo anni e anni di assidua frequentazione, sento proprio l’esigenza di ritornare puntualmente in questa stupenda regione. Oltre a ciò, ritengo che l’Alto Adige detenga, tra i tanti primati, quello di possedere la media più alta in relazione alla qualità delle cantine cooperative. Kellerei Girlan, ovvero Cantina Girlan, è stata fondata nel 1923 in uno storico e pittoresco maso del XVI secolo. Al suo esordio, appena 23 i viticoltori considerati pionieri, coloro che costruirono le fondamenta di quella che oggigiorno viene considerata una delle cantine più importanti dell’Alto Adige.

La sede è a Cornaiano, piccolo borgo vitato a circa 9 km in direzione sud ovest rispetto a Bolzano. Ne è passata di schiava, pinot nero, lagrein, gewürztraminer… sotto i ponti, oggi sono ben 200 i soci, e ben 220 gli ettari vitati, suddivisi in cinque microzone: Girlan, Appiano Monte, Monticolo, Montagna e Mazzon. La “formazione in campo” da un bel po’ di anni è sempre la stessa: Oscar Lorandi è il direttore della vantina, affiancato da quello amministrativo, ovvero Helmut Strumpflohner, e da Gerhard Kofler a capo dello staff enotecnico.

Da ormai 12 anni l’azienda ha avviato un processo di ammodernamento che attualmente rende possibile la produzione annua di 1.350.000 bottiglie, suddivise tra 55% bianchi e 45% rossi, la riprova che le grandi cantine dell’Alto Adige credono fortemente nel potenziale del territorio a 360°. Veniamo dunque alla protagonista del mio articolo, la pluricentenaria A.A. Schiava Gschleier Alte Reben 2020, ma attenzione, con questo non intendo dire che sto per recensire un vino che ha oltre 100 anni, ma semplicemente che Alte Reben in tedesco significa “vecchie vigne”, e che la cantina di Cornaiano è famosa perché alcuni dei migliori appezzamenti superano abbondantemente il secolo d’età, sfiorando addirittura i 110 anni, altri invece si aggirano attorno agli 80.

Affianco al suddetto termine troviamo la parola Gschleier (il nome deriva da un’antica guarnigione romana riscoperta nel 1950), non facile da pronunciare, ma vale la pena provarci perché trattasi di una delle zone più rinomate – a nord ovest di Cornaiano – per la produzione della schiava o vernatsch. Le viti crescono su suoli misti di argilla, calcare e ghiaia a ben 450 metri s.l.m., con importanti escursioni termiche giorno/notte. Si parte da una vendemmia svolta manualmente, le uve raccolte vengono diraspate e pigiate, da qui il trasferimento in tini d’acciaio per gravità; la fermentazione dura circa 15- 20 giorni. Successivamente viene svolta la malolattica, segue poi un affinamento in grandi botti di rovere per 9 mesi, più altri 6 di riposo in bottiglia.

Il vino si presenta in veste rubino vivace, attraversato in controluce da lampi granata, tonalità tipica della schiava che in sé mantiene sempre una trasparenza incantevole; buon estratto: roteandolo all’interno del calice disegna archetti fitti e ben delineati. Il naso è la quintessenza del garbo e della sobrietà; per nulla sfacciato, si apre a percezioni di frutti “croccanti” quali riber rosso, visciole, mirtillo nero, e a un freschissimo accento balsamico che sa di eucalipto, e ad accenti boschivi di pino mugo; dopo circa quindici minuti dalla mescita il pepe nero fa capolino, impreziosito da pennellate floreali di rosa, timo e da una chiusura che rimanda inesorabilmente al terreno da cui nasce: mi sovviene l’argilla e la pietra polverizzata.

Crediti Danila Atzeni

La complessità fa pensare a un lungo lavoro di selezione in vigna, ad una maniacalità che porta sempre a grandi risultati, e il palato non fa che confermare questa tesi. Il sorso è caratterizzato da un andirivieni di sensazioni acide e sapide perfettamente sincronizzate tra loro, sembra la finale olimpica di canottaggio dei gloriosi fratelli Abbagnale, la consueta sobrietà la ritrovo anche al palato: per nulla ingombrante, misurato, coerente con le sensazioni speziate e balsamiche, in un allungo finale che lascia un ricordo di estrema pulizia, con succo e materia di altissimo livello. Che altro dire: chapeau!

Servito a 14-16°, temperatura ideale considerato il caldo, l’ho piacevolmente abbinato ai maccheroni alla pastora – tra i primi piatti più famosi dell’Alto Adige –, ovvero una sorta di ragù leggero di carne arricchito con piselli, prosciutto, funghi, cipolla bianca e un goccio di panna.

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Per quanto non indicato, contributi fotografici della Cantina Girlan.

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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