Tenuta Tamburnin e l’ascesa dell’Albugnano DOC

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Il Piemonte è una regione vitivinicola che ha raggiunto traguardi importanti, soprattutto negli ultimi cinquant’anni. Alcuni tra i vini più blasonati prodotti su queste colline ormai da tempo scalano puntualmente le classifiche di tutto il mondo sia in termini di notorietà che di richiesta da parte dei mercati esteri. Diverse etichette raggiungono cifre da capogiro, tuttavia sono pienamente convinto che l’effettivo potenziale di questa regione, ad oggi, sia sfruttato consapevolmente solo al 50-60%. Il nebbiolo, vitigno autoctono piemontese, è da sempre il cavallo di razza; cultivar che sta alla base di tutte le denominazioni più blasonate, viene allevato in diverse aree della regione e soprattutto nelle Langhe, nel Roero e in Nord Piemonte, ma non solo.

Al confine tra la provincia di Asti e quella di Torino troviamo un’areale vitivinicolo che dà il nome alla DOC Albugnano, un lembo di terra antica dove il nebbiolo è da sempre il protagonista indiscusso. A differenza delle altre zone sopracitate, il re dei vitigni piemontesi qui è da sempre il vino della festa quanto quello di tutti i giorni; ha una storia antica che ci narra di tradizioni popolari, di duro lavoro e di caparbietà, di sacrifici e di grande impegno, lo stesso che alcune aziende del territorio – soprattutto negli ultimi 5-6 anni –  stanno dimostrando per riportare l’Albugnano agli antichi fasti del passato.

Un esempio concreto è la nascita dell’omonima Enoteca Regionale del Piemonte, avviata lo scorso anno, e l’Associazione “Albugnano 549”, nata nel 2017 dall’unione di intenti di alcuni produttori del territorio e che annovera ben 16 aziende coinvolte nel progetto; una tra queste è Tenuta Tamburnin, con a protagonista Valeria Gaidano, che dal 2022 ricopre anche il ruolo di presidentessa dell’Associazione stessa. Ah, 549 sta ad indicare alcune vigne del territorio ubicate a quest’altitudine.

Aspetto rilevante per queste colline, soprattutto negli ultimi anni dove siccità e caldo estremo sono all’ordine del giorno, l’altimetria è indubbiamente un asso nella manica in grado di garantire livelli di acidità quasi sempre soddisfacenti e gradazioni alcoliche leggermente più contenute. Tenuta Tamburnin ha origini piuttosto antiche, si parla di fine Settecento, la proprietà è della famiglia Gaidano dal 2004. La cantina è situata a Castelnuovo Don Bosco (AT), comune che assieme a Pino d’Asti, Passerano Marmorito e Albugnano costituisce l’areale di produzione della DOC.

La denominazione è stata istituita nel 1997 e prevede nebbiolo minimo 85% e un massimo di 15% di freisa e/o barbera e/o bonarda, vitigni autoctoni piemontesi. Attorno al 2004 Valeria Gaidano, studi in lingue ed ex impiegata di banca, lascia il lavoro per avviare assieme alla sua famiglia l’attuale azienda vitivinicola. Le sorelle, Elena e Claudia, operano nel campo della giurisprudenza. Papà Piergiorgio, geometra in pensione, rileva la tenuta: una stupenda dimora, a pochi km dal centro di Castelnuovo Don Bosco, situata alla fine di un viale costituito da alberi di acacia lungo 800 metri; il legno serviva un tempo per i pali della vigna -racconta il capofamiglia.

Attualmente Tenuta Tamburnin si avvale della collaborazione dell’enologo Gianpiero Gerbi, che tra l’altro cura tutto il progetto “Albugnano 549”. L’azienda ha avviato la conversione al biologico nel 2017, e nel 2020 ha ottenuto la certificazione; i 9 ettari di proprietà sono accorpati in un solo fazzoletto di terra che abbraccia simbolicamente la cantina. All’interno dell’edificio è inoltre presente un bed and breakfast che offre la possibilità ai turisti di pernottare, così da godere con la dovuta calma le bellezze del territorio. Le vigne sono esposte a sud-est e sud-ovest, a circa 350 metri sul livello del mare. Voltando le spalle ai filari centrali della tenuta è possibile ammirare la bellezza del comune di Albugnano che si eleva ulteriormente. In realtà la famiglia Gaidano possiede 20 ettari di terra, i restanti 11 si dividono tra noccioleti e prati, ma anche boschi, perché la biodiversità da queste parti è ancora presente grazie a Dio, e caratterizza enormemente il paesaggio.

Percorrendo la strada provinciale che unisce i vari comuni del comprensorio è possibile ammirare tanto bel verde, orti, frutteti; inoltre per i grandi appassionati di tartufo queste colline hanno tanto da offrire. La sostenibilità è un tema molto sentito dall’azienda: oltre al protocollo bio si utilizza il legno ricavato dagli alberi per riscaldare l’edificio e l’acqua di una sorgente compresa all’interno della proprietà. I terreni sono costituiti da marne mioceniche (langhiano-burdigaliano) e sono di colore chiaro, di medio impasto; tuttavia troviamo talvolta sulla superfice affioramenti tufacei frammisti a strati di sabbia ben più evidenti.

Il bosco a queste altitudini ha una funzione termoregolatrice, contribuisce attivamente a rinfrescare le uve, che da queste parti rispetto ad altre aree viticole piemontesi maturano qualche giorno prima. Alcuni ceppi di proprietà di Tenuta Tamburnin hanno oltre 40 anni di età e le pratiche agronomiche adottate comportano rese molto limitate. La vigna sotto casa, circa un ettaro, è allevata a chardonnay e sauvignon blanc; il nebbiolo, così come freisa e barbera, è presente in appezzamenti più alti denominati Conca d’Oro e Vigna Malandrona.

Veniamo agli assaggi effettuati durante la visita in cantina, non prima di cogliere l’occasione per ringraziare Valeria e Piergiorgio Gaidano per la squisita ospitalità.

Freisa d’Asti La Giulietta 2021

Con una etichetta dedicata alla figlia di Elena Gaidano, il Freisa d’Asti La Giulietta 2021 affina in acciaio; la classica vivacità è ottenuta mediante la rifermentazione in autoclave. Si offre in una veste rubino squillante e palesa sin dal principio tutta la sua esuberanza fruttata, con toni maturi di mirtillo nero e ciliegia, a cui fanno eco accenti speziato di pepe nero e leggera grafite. Gran bel vino, dove la freschezza domina dal primo all’ultimo istante, l’impatto richiama sempre il frutto e il timbro è gioviale ma non privo di profondità. Bella chiusura ammandorlata.

Albugnano Carlin 2021

Ultimo arrivato in casa Tamburnin, Carlin è dedicato al figlio di Valeria, Carlo. Nato con l’idea di offrire al consumatore un Nebbiolo in purezza vinificato in solo acciaio (per otto mesi), è una referenza che fino a pochi mesi fa non era disponibile a catalogo. Un’espressione pura delle potenzialità del vitigno, il quale, vinificato senza ausilio del legno, restituisce in maniera didattica tutte le sfumature che rendono il Nebbiolo di Albugnano riconoscibile rispetto a quelli provenienti da altre zone del Piemonte.

Rubino vivace, tonalità luminosa che ammicca al granato. Dopo lenta ossigenazione – in principio risulta leggermente chiuso –  è bello perdersi tra pennellate floreali di rosa rossa e violetta (leggermente appassite), toni ferrosi, ribes rosso e timo. Sorso slanciato, succoso, dal tannino dolce e fine, con la sapidità che comincia a rivelarsi l’arma vincente di questa gamma di vini, diretta discendenza di un terreno ricco di minerali.

Albugnano 2019

Passiamo all’Albugnano “classico”, ovvero vinificato per 12 mesi in botte grande da 20 hl, 3 mesi in acciaio e 6 in bottiglia. Manto granato dai riflessi rubino, in controluce mostra buona consistenza e vivacità cromatica. Dal timbro olfattivo di media intensità, è un vino da ricercare con passione all’interno del calice, perché non ostenta toni banali ed immediati, e l’ossigeno lo aiuta enormemente. Esordisce con frutti di bosco maturi, tra cui amarena e ribes rosso, lasciando ben presto spazio a suggestioni più complesse che rimandano al ferro caldo, alla grafite, ai toni silvestri e a tutta una serie di sfumature stimolanti tra cui pepe nero, rabarbaro e timo.

Gran bella evoluzione e circa mezz’ora dalla mescita, l’insieme si addolcisce rivelando anche suggestioni di cosmesi, rossetto e arancia rossa spremuta. In bocca è un vino pieno, dal tannino incisivo ma ben calibrato rispetto alla densità della materia, con quest’ultima mai adombrante, così come l’alcol; lunga gittata in chiusura, e una freschezza sempre in primo piano, testimone del potenziale del nebbiolo coltivato nel comprensorio di Albugnano.

Freisa d’Asti Superiore Le 3 Seuri 2018

Il freisa è un altro dei vitigni tanto cari alla famiglia Gaidano, e rappresenta a mio avviso un asso nella manica per tutto il territorio. L’estrema versatilità è la sua arma vincente: dai vini di pronta beva a quelli adatti ad un lungo affinamento; mi preme segnalare che geneticamente parlando è un parente stretto del nebbiolo.

Il Freisa d’Asti Superiore Le 3 Seuri 2018 è un atto d’amore, una dedica da parte di papà Piergiorgio alle “tre sorelle” Elena, Valeria e Claudia. Ben trenta giorni di macerazione sulle bucce e 15-18 mesi in legno grande, a voler mettere subito le cose in chiaro riguardo le potenzialità di queste uve, allevate in un vigneto che ha ben 73 anni e da cui viene ricavata una resa pari a 30 quintali per ettaro. Tra il rubino e il granato, ha tonalità calde ed estratto da vendere. Frutti neri maturi in primo piano tra cui ribes e susina, toni boschivi, un accenno di cuoio e una chiusura alquanto curiosa che richiama la salamoia, note mediterranee e a tratti salmastre. In bocca il sorso è incisivo, marcante, dotato di grazia e al contempo impegno/profondità. Colpisce la densità della materia ben fusa all’alcol, la dolcezza tannica e l’estrema pulizia del suo finale, che conferma nuovamente l’abilità dell’enologo Gianpiero Gerbi, oltre che le potenzialità di queste peculiari colline piemontesi.

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Crediti fotografici di Danila Atzeni

 

 

 

 

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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