Diari di costa ’23 – Montepepe

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Concretizzare un progetto vinicolo a Montepepe, fra le ultime propaggini del Candia massese, significa avere del coraggio da vendere, significa davvero crederci. Ché poi dovrai sempre gridare forte che ci sei anche tu, in un mondo sovraffollato e super competitivo. Sempre.

Eppure Alberto Poggi, architetto massese con la vocazione per il vino e per il bello, ci è riuscito, portando all’emersione e alla considerazione generale la sua piccola realtà di frontiera; una piccola realtà che ha invero una storia lunga alle spalle, un po’ come il suo scenografico vigneto, piantato per la prima volta nel 1830.

La tenuta è passata nel tempo da mani nobiliari a quelle di industriali, fino al semi abbandono di fine secolo scorso, fino a che Alberto non si è deciso di accollarsi su di sè un impegno grande, al fine di scoperchiarne le reali potenzialità. Da un lato la ristrutturazione minuziosa della vecchia villa, trasformata oggi in un attrattivo resort, dall’altro la collocazione dell’azienda vinicola fra le punte di diamante del panorama provinciale (e anche più in là).

La cifra distintiva di Montepepe sta nei suoli; nei suoli la reale singolarità. Una terra rossastra, ferrosa, di tessitura franco-argillosa e con tanto scheletro, che poggia su un substrato antichissimo fatto di metacarbonato, filladi e feldspati. Una rarità. C’è tanta acqua nel sottosuolo. E il mare di fronte. Il vigneto sovrasta il tessuto urbano di Montignoso, è scenografico, e contro le pendenze ostinate i terrazzamenti si son fatti necessità.

Montepepe è culla di bianchi distintivi. Alla loro base il vermentino, con un saldo variabile di viognier. Qui è dove la nitidezza espressiva sposa il sale e la verticalità. Sono eleganti, precisi, accordati, elettrici, schietti e sfumati al contempo, per certi versi inappuntabili.

E dal buon potenziale evolutivo, peraltro, come ci dimostra, una volta di più, il buonissimo Montepepe Vintage, che nella versione 2017 declina la carica glicerica in rilassata armonia, concedendosi una diffusione elegante e raffinata solcata da toni idrocarburici, mostrando al mondo che il Vermentino, a volte, può ben vecchieggiare

E se l’ambizioso Degeres 2019 (anch’esso blend di vermentino e viognier, ma affinato in legno piccolo) rappresenta l’espressione più internazionale dei vini della casa (a un frutto di piena maturità associa un tratto burroso e cadenze più dolci), il Candia dei Colli Apuani Vermentino Alberico 2022 allaccia un dialogo più stretto con i canoni della tipicità, recuperando la fresca incisività del Vermentino massese in un sorso di presenza, saporito, gustoso, in grado di allungare su sale e acidità; appena più verace del carismatico Montepepe Bianco 2021, dove la matrice sapido-minerale guida una trama sferzante e verticale, di apprezzabile tensione, con il vermentino a fissarne le coordinate aromatiche più evidenti, grazie ai risvolti di salvia e roccia bagnata.

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FERNANDO PARDINI

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