Un personaggio/faro della Borgogna storica

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Ammettiamolo, la Borgogna inizia un po’ a stancare. Saranno i prezzi, per citare la prima causa: cresciuti esponenzialmente nell’ultimo decennio, stanno mostrando solo negli ultimi tempi cenni di flessione e di rientro in parametri umani, ma rimangono pressoché inavvicinabili per il portafoglio di un normale bevitore di vino.

Sarà poi la sovraesposizione mediatica. Tutti, ma proprio tutti, parlano dei vini borgognoni: uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi, poveri, cugini di campagna, nomadi, dik dik, e via via, come in una lista gaddiana, “pescatori, arcieri, peltasti, prefetti del popolo, mugnai assiro-babilonesi, indovini, legionari romani, navarchi, fabbricanti di vasi di Samo, chiromanti di Cirene, piloti mauri, il pretore d’Oriente con tre persone del seguito, pubblicani, farisei, dentisti, tornitori di gambe di seggiola”.

Se infine uno dei maggiori esperti italici della regione (che non cito per discrezione) proclama oggi senza mezzi termini: “la Borgogna mi ha rotto le scatole”, direi che un quadro chiaro della “temperatura” borgognona attuale ce lo siamo fatti. Resta una crescente nostalgia, spocchiosa quanto si vuole, dei bei vecchi tempi in cui la Borgogna non era un totem sacro, un oggetto pop come la Gioconda o il Partenone, ma una semplice regione vinicola. Di quel tempo andato coltivo un ricordo devoto e dichiaratamente idealizzato.

Un personaggio/faro di quella Borgogna – chiamiamola classica e appartata – lontana dai riflettori, era Jacques Lardière, storico vinificatore della maison Jadot (dal 1970 al 2012). Un interprete unico per sensibilità, acume, affabilità, lungimiranza.

Bevuta ieri – grazie al finissimo conoscitore Riccardo Lombardi – una sua bottiglia di stupefacente qualità, un Corton-Pougets Grand Cru Jadot 2001, ho cercato tracce residue online dell’attività di Lardière, e ho trovato un’intervista rivelatrice (CLICCA QUI) risalente al 2019.

Ne suggerisco caldamente la lettura, per afferrare – sia pure tramite un distaccato ritratto digitale – la grandezza della sua personalità. E attraverso l’ammirazione per quella grandezza, la bellezza semplice e profonda della Borgogna di un tempo.

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Appendice I
Com’era questo Corton-Pougets? eccoci: colore leggero, luminoso, assolutamente non spento, anzi ancora vitale; profumi di rara delicatezza, gusto finissimo, tannini ricamati, finale dall’evidente timbro vegetale, ma senza alcuna durezza. Un vero Grand Cru, giocato più sulla gradazione sottile dei toni aromatici che sulla potenza.

Appendice II
A che serve un post passatista e nostalgico? a poco o nulla. Se tuttavia si vuole a tutti i costi ricavarne un’utilità di servizio, è facile renderla esplicita: qualunque bottiglia si riesca a trovare oggi con il marchio Jadot delle annate tra il 1970 e il 2012 è una testimone liquida preziosa, che merita di essere comprata e bevuta.

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Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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