Il cuore oltre l’ostacolo: parole per progettare

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Eccoci giunti infine al Natale. Nelle due puntate precedenti (qui la prima, e qui la seconda) abbiamo delineato una serie di parole che ci permettessero di “trovare una strada” per non lasciarci abbattere, per trasformare un momento di crisi in un momento di progetto, di ascolto profondo.
In quest’ultima parte del nostro piccolo viaggio – un viaggio collettivo, a più voci e a più stili – , ecco le ultime parole della serie: che siano parole utili per aprire alla speranza verso il Natale, verso l’anno nuovo… e oltre!
Auguri!

 

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Osservare

L’attenzione assolutamente pura è preghiera
(Simone Weil)

Con attenzione osservo le piccole cose che mi circondano, di questi tempi più che mai, e mi soffermo su immagini create dal niente che prendono importanza solo perché il tempo s’è adesso rallentato enormemente e m’invita a fermarmi per notare, osservare, contemplare, lodare e poi rivolgermi al mondo e regalare.
Quando qualcosa si lascia contemplare esiste l’invito a un’unione. I sensi con una nuova scintilla affrettano i loro passi per entrare nel cuore delle cose. Con ogni sguardo le cose si aprono, si espandono, si illuminano, si approfondiscono. Diventano qualcosa di pregiato. Diventano infinite.

Una soglia… 100 soglie. E il tempo che offro per osservarle diventa di un’essenza e di un’importanza assoluta. Perché in fondo non esiste che questo momento, quest’istante presente che si sofferma ed esiste solo se lo noto, se l’osservo. E in risposta anch’io mi apro a ricevere l’invito all’unione, alla consapevolezza, al rapimento di una piccola effimera gioia.

L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità
(Simone Weil)

Così come il mondo s’è affacciato ai balconi e ha lanciato musica e applausi, dal mio balcone verso il mondo ecco alcune immagini che ho raccolto dall’osservare ciò che mi circonda nel viavai quotidiano.

L’unico fiore che con gran sforzo ha prodotto la mia vecchia orchidea si è spezzato. Non volendo buttarlo via, l’ho messo in un bicchiere da champagne sul tavolo in cucina. Appena accesa la luce è apparso un piccolo mondo. Mi sono persa ad osservare le bollicine che si sono formate nell’acqua, attorno allo stelo, i petali rossi vellutati, lo scintillare della luce sul bordo del bicchiere… Il ricordo mi assale di favole, di fate, di gioielli. Il trionfo della luce sul buio.

La grande compagna che entra in casa mia a diverse ore del giorno è la luce. Qua e là, a seconda dell’ora o delle stagioni, c’è una sorpresa. Si creano riflessi geometrici sui muri, sagome e ombre che danno agli oggetti protagonisti di questi momenti una nuova dimensione, nuovo volume e presenza. È brevissimo il tempo che durano questi piccoli spettacoli…Un’entrata e un’uscita furtiva di un’attrice misteriosa che nonostante sia sempre presente a volte si sbizzarrisce su diversi palcoscenici per sfoggiare la sua storia: l’ombra del bonsai che l’occhio ritrova sul muro se va oltre la chioma di foglie; i riflessi geometrici quando la luce balza dall’argento alla parete; punte e frecce lanciate dal prisma di cristallo che s’inoltrano nel chiaroscuro sul tavolo.

Le foglie all’uscio del mio giardino rimaste ancora dall’autunno che, nonostante finite e spente, possiedono ancora un certo garbo, ora sono vestite con un abito nuovo di brina e inverno. Ed è la brina che le rende vellutate, quasi splendide nella loro morte. Il pensiero parte e va… Stoffe, tappezzerie, arazzi, il medioevo, i castelli… e così il viaggio, la distrazione che porta il cuore “verso l’infinto e oltre”.

Nella calma del mattino che si apre, ascoltavo stamane il poema sinfonico La Moldava di Bedřich Smetana. Ad accompagnare il suono sono sorte le immagini: il fiume, timido, alle sorgenti, la maternità della montagna, la corsa dell’acqua attraverso la campagna rigogliosa in risposta, la corrente che incita la corsa, il vento sul fiume che gioca creando onde e spruzzi, i rami bassi degli alberi lungo la riva che toccano l’acqua, la luce sull’acqua in mille riflessi gioiosi.

Insomma, basta osservare con dedicata attenzione. Poi il cuore fa il resto.

Isabella Luconi

 

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Coltivare l’amicizia

Da quanto tempo non andate al nostro mare in inverno? Io lo sto scoprendo in questo triste periodo di quarantena. Ma la quarantena la “ignoro” ogni volta che c’è il sole, e ogni volta arrivare al mare è una sensazione unica.

La nostra spiaggia è immensa, deserta, sia guardando a destra che a sinistra. Alcuni pali si intravedono verso Viareggio, verso il Forte un patìno rosso, ricordo estivo di probabili salvataggi in mare. E tanto spazio e tanta bellezza a disposizione.

Le onde del mare suggeriscono avventure lontane, le Alpi Apuane richiamano racconti fantastici pieni di meraviglie tra il bianco delle cave e il verde che delimita la scena prima della sabbia.
Sabbia fredda e umida, così diversa da quella estiva, mobile e bollente.

Camminare sulla battigia con un’amica accanto è bellissimo, e poi dopo aver mangiato un panino insieme!
Volete la ricetta ? Ma no, non importa come farlo, la bellezza e l’amicizia lo renderanno comunque squisito.

Paola Tomagnini

 

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Imparare

Mai come in questo periodo sarà importante scegliere tra due atteggiamenti opposti: chiudersi a riccio rifiutando la complessità delle cose o cercare d’aprirsi al futuro. Rinunciare alla nostra capacità critica limitandoci a ripostare frasi a effetto e spazzatura da social, o lavorare per il proprio futuro imparando nuove cose, stimolando la curiosità, la voglia di conoscere.
Vale la pena riprendere una frase attribuita a Don Milani: “Ogni parola che non impari oggi, è un calcio nel culo che prenderai domani”.

Il nostro tempo è troppo prezioso per essere impiegato a inseguire like che valgono quanto un pugno di nebbia. Il rumore di fondo è altissimo, concentrarsi è sempre più difficile…
Ma basta fare uno sforzo e fermarsi per creare un proprio angolo di silenzio in cui chiedersi: dov’è che voglio andare? Cosa mi piace veramente fare?
Riaccendere la curiosità, dare spazio alla voglia di conoscere, andare a cercare le proprie passioni per dare spazio a se stessi, per rinforzarsi, per crescere. Non si smette mai di crescere se si ha fame; nemmeno a novant’anni.
Basta poco. Ad esempio andando a scoprire la storia delle parole. Sembra una cosa da nulla? È in realtà un vero viaggio dell’immaginazione, come un albero dove una ciliegia tira l’altra. Basta un vocabolario, e una parola che ci incuriosisce. Da dove deriva quella parola? Quali passaggi ha fatto per arrivare a noi? Da dove è passata?

La casa editrice Zanichelli ha a questo proposito istituito una interessante iniziativa online chiamata “Le parole del giorno”: ogni giorno una parola viene spiegata, per tenere accesa la curiosità. Per restare in tema natalizio andiamo a curiosare nelle parole più dolci… Ad esempio “buccellato”:
buccellàto
[dal latino tardo buccellātu(m) ‘pane militare’: da buccĕlla, nel senso di ‘panino a forma di corona o bocca (bŭcca)’ (?)]
s. m. > ciambella tipica di Sarzana e della Lucchesia, variamente aromatizzata | in Sicilia, dolce tipico natalizio, a base di fichi secchi.
Chi avrebbe mai pensato che avesse a che fare con un pane militare e con la forma a corona!

O ancora: sapevate che la parola “scrupolo” ha a che fare con i sassi? Scrupulus indicava in latino “sassolino”, ed era una misura di peso per pesare oggetti preziosi, da cui è derivato l’aggettivo scrupoloso per indicare una persona estremamente precisa…. Qua il link alla voce di un altro vocabolario, il Treccani, vale la pena leggerla tutta.

Una parola è una storia, e nutrendosi di parole ci si apre la mente.
E così vale per tutto: leggere libri, imparare a memoria poesie, fare un corso d’informatica, di tessitura al telaio, studiare la musica, imparare a innestare gli alberi, leggere un manuale d’apicoltura… Il mondo è così grande, quante cose ci saranno da conoscere!

curióso agg. [dal lat. curiosus, propr. «che si cura di qualcosa», der. di cura «premura, sollecitudine»]. – 1. Desideroso di conoscere, di sapere…
Curioso quindi deriva dal latino cura, che sta per premura.

Chi è curioso si prende cura. Di sé stesso e del mondo.

Paolo Rossi

 

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Fermentare e progettare

È stato un flash, un salto indietro nel tempo! E non di poco, di anni, almeno trent’anni.
Ero piccola, frequentavo le scuole elementari. Seconda figlia femmina della famiglia, praticamente il figlio maschio non arrivato. Così capitava che, mentre mia sorella maggiore seguiva gli insegnamenti di casa di mamma, io seguivo quelli di papà. Anzi, seguivo letteralmente mio papà. E capitava spesso che rimanessi in lunghe attese ad aspettarlo da sola seduta sulla sua Ape Piaggio mentre lui scendeva per commissioni in qualche magazzino di attrezzi da lavoro.
Resta qua, torno subito”, mi diceva. Un subito che ormai conoscevo bene; non durava mai meno di mezz’ora o comunque un tempo per me lunghissimo, qualunque fosse la sua reale durata.

Chiusa su un’Ape, da sola.
Sapevo dove non potevo metter le mani per la mia sicurezza, cosa non potevo toccare perché di “troppo valore” se lo avessi danneggiato – non ho ancora capito cosa ci potesse essere di valore sull’Ape di un fabbro…
Così, presa dalla noia, iniziavo la mia perquisizione di quel piccolo spazio buffo fatto dal volante a forma di manubrio, da un unico seggiolino per i passeggeri rivestito con una coperta di lana marrone, con una strana leva in ferro che spuntava dal basso e che poi ho scoperto essere il freno.

La sensazione iniziale era sempre la stessa, un’infinita noia.
Con il tempo, avevo sviluppato i miei due giochi preferiti. Il primo era quello di srotolare e poi riarrotolare una rotella metrica a nastro della lunghezza di 25 metri: praticamente riempivo la cabina di nastro e scommettevo con me stessa di riavvolgere tutto prima che tornasse papà.
Il secondo gioco nasceva invece dalla difficoltà di trovare altri oggetti interessanti in quella cabina, che aveva uno spazio utile paragonabile a quello di una lettiera per gatti. Prendevo il taccuino dove papà annotava le misurazioni dei suoi lavori e il lapis quadrato da cantiere, e iniziare a scrivere, disegnare, puntinare, progettare.

Quando ero fortunata trovavo il blocco nuovo, regalato dall’ennesimo rappresentante, ma soprattutto il lapis appuntito. Non ho ricordi precisi di che fine facessero quei progetti, quello che ho capito solo in seguito in quel flash, durante una lettura da futura mamma, è quanto sia importante per un bambino il “diritto alla noia”.

Quei momenti così noiosi per me erano in realtà esercizi per allenare la mia fantasia. Era lì che, costretta ad aspettare per non annoiarmi, creavo le mie idee da fare a casa, in giardino o quando ne avrei avuto la possibilità. E anche se molti di quei progetti sono rimasti semplici idee, ringrazio davvero di aver avuto il tempo di starmene lì da sola, chiusa a fermentare, quasi come un vero e proprio lievito, che invece del mio amato pane ha tirato su la mia voglia di fare sempre qualcosa di nuovo, e che ogni volta riesce a emozionarmi.

Giovanna Del Signore, uno dei lieviti del forno Lievitamente

 

 

 

 

 

 

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

3 COMMENTS

  1. Grazie Isabella, sono stato davvero felice di aver imbastito insieme alla Maria questa serie di articoli collettivi che si è rivelato… un coro ben intonato!
    paolo

  2. Bellissimi articoli, tre puntate che mi hanno proprio fatto compagnia, incuriosito, riscaldato il cuore e divertito. E il cuore è davvero volato oltre l’ostacolo. Mi spiace solo non aver lasciato commenti ogni volta , ma mi sa che sarei stata noiosa e un filino melensa… quindi, meglio un secco e onesto “grazie!!!”
    Altro piccolo dispiacere è che gli appuntamenti siano finiti… o no? Paolo, io conto su altre puntate! Non fatemi aspettare Pasqua!!!

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