Marco Bui, anima e cuore di Tenute Guardasole, nelle storiche colline del Boca

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Il territorio vitivinicolo di Boca, e l’Alto Piemonte in generale, rappresenta per me un porto sicuro dove approdare ogni qualvolta sento la necessità di tornare a casa. Mi spiego meglio. Sono nato a Cameri (No), e da oltre diciassette anni vivo a Novara, il capoluogo della provincia in cui si trova il piccolo borgo sopracitato, che ha il pregio di plasmare nebbioli tra i più complessi e autentici del Piemonte. Ah, inutile scrivere “d’Italia”, perché salvo le apprezzate eccezioni provenienti dal territorio valdostano o lombardo, la nota cultivar è in Piemonte che regna. I tentativi di allevarlo altrove, oltre a questi luoghi radicati e reputatissimi, rappresentano a mio avviso esperimenti il più delle volte commerciali e nulla di più.

L’occasione di ripercorrere la storia del vino di Boca mi è capitata proprio qualche settimana fa grazie a un incontro con Marco Bui, proprietario di Tenute Guardasole, cantina situata a Grignasco (NO) avviata nel 2009. Classe 1976, consegue il diploma in agraria e la laurea in marketing e comunicazione. Dopo 8 anni passati a Milano, impiegato presso una nota azienda dove riesce a raccogliere con soddisfazione il frutto dei propri studi, realizza che quell’ambiente frenetico non si addice al proprio stile di vita e agli obbiettivi che intendeva perseguire.

Marco è un grande appassionato di montagna: ama lo sci d’alpinismo, il trekking, la corsa e la sua terra natia; soprattutto la tranquillità, che regna sovrana all’interno di tutti quei boschi che sovente circondano le vigne dell’Alto Piemonte. Queste attitudini, unite alla tradizione familiare, lo convincono a ritornare a Grignasco; in primis per aiutare i genitori nell’attività ortofrutticola, e solo in un secondo momento ad avviare la propria attività vitivinicola.

Ho sempre amato la vigna, la viticoltura, a 14 anni ho piantato la mia prima barbatella. La scelta del biologico certificato è un atto dovuto – racconta Marco –, il fine è quello di salvaguardare il più possibile questo ambiente che amo, dove la biodiversità è ancora all’ordine del giorno; inoltre bevo spesso i vini che produco, dunque è il minimo preservare la mia salute e quella del consumatore. La vigna storica di famiglia veniva trattata da mio nonno soltanto con rame e zolfo, dunque perché cambiare strada considerando il fatto che passo 10 ore al giorno tra i filari? Non voglio intossicarmi. La mia prima bottiglia di Boca Doc BIO corrisponde all’annata 2016.”

Non si può raccontare la storia del vino di Boca senza menzionare personaggi mitici come Antonio Cerri, forse il più importante di questa Doc dell’Alto Piemonte istituita nel 1969 e tra le più antiche d’Italia; colui che più di chiunque altro, fino alla fine degli anni ’80, ha saputo tradurre attraverso i propri vini l’originalità e la complessità del territorio. Ancor oggi, tra queste colline di origine vulcanica, è possibile apprezzare una biodiversità oggetto di studio da parte di svariati enti istituzionali: Club Unesco Terre del Boca, Sesia Valgrande Geopark, Ente Gestione Aree Protette Valsesia e Valgrande.

Occorre ricordare che alla fine degli anni Sessanta l’area era a rischio d’estinzione per il progressivo abbandono della vigna a favore del settore industriale. Nella seconda metà degli anni Ottanta è ripartito tutto grazie all’intuito di grossi investitori che, assieme ai produttori, hanno fatto conoscere i vini a livello internazionale. Il legame tra vino e paesaggio è fondamentale in Alto Piemonte, e rimane uno degli aspetti che apprezzo di più della mia terra.

Un altro noto personaggio nato e vissuto fra le colline del Boca, grande appassionato di viticoltura, fu indubbiamente il nonno di Marco Bui, da tutti chiamato “l’Enrico”. Nel 1950 acquista al prezzo di 780.000 lire una vigna storica della nota Traversagna, ancor oggi una delle aree più vocate dell’intero comprensorio, reimpiantata da Marco nel 2011. Giunti sulla parte più alta della vigna, davanti a noi è possibile ammirare un paesaggio tra i più belli dell’Alto Piemonte, una fotografia che consente di distinguere singolarmente, soprattutto nelle giornate di cielo terso, tutti gli areali dei principali distretti vitivinicoli tra la provincia di Novara, Vercelli, Biella e Vco. Occorre escludere da questa “cornice didattica”, per il momento, la Val d’Ossola, per ovvie ragioni geografiche.

Marco conserva proprio in questo luogo i ricordi più cari di nonno Enrico, racchiusi all’interno di un caratteristico casot, un vero e proprio museo del vino di famiglia dove ancor oggi è possibile leggere alcuni appunti, legati perlopiù all’andamento di chissà quale annata, scritti a penna su una tavola di legno attaccata alla parete. Per non parlare della presenza di bottiglie impolverate, senza etichetta, che testimoniano l’attività vitivinicola di famiglia che risale al secondo dopoguerra.

Dando le spalle al bosco, e volgendo lo sguardo alla vigna, a destra troviamo le Alpi e e le Prealpi Biellesi – dunque il territorio di Lessona, ricco di sabbie plioceniche –, affianco le colline del Bramaterra, dove sono i porfidi a marcare sensibilmente i vini (così come a Boca), davanti a noi i cru più importanti di Gattinara (tra cui l’Osso San Grato), ricchi di ferro e di altri preziosi minerali, e a sinistra infine i pianalti della zona del Ghemme, Sizzano e Fara, così definiti perché in antichità rappresentavano il punto d’incontro dei ghiacciai che scesero dalle Alpi lasciando depositi morenici e fluvio-glaciali. L’Ossola conserva quest’ultima matrice territoriale ma, geograficamente parlando, gioca un campionato a parte, perché situata praticamente a ridosso delle montagne facenti parte dell’omonima vallata.

Per comprendere realmente il potenziale vitivinicolo dell’Alto Piemonte c’è da sottolineare che questo territorio, fino agli anni Cinquanta, contava ben 42.000 ettari vitati, dunque tra i più estesi dell’intera regione. L’avvento dell’industria e del conseguente boom economico fece desistere le nuove generazioni dal perpetuare le tradizioni familiari, avvicinandoli sempre di più alle opportunità lavorative fornite dalle industrie circostanti nel settore tessile e metalmeccanico. Queste aziende garantivano un lavoro sicuro e regolarmente remunerato, lontano dai mille capricci della natura che influenzavano fortemente il mondo dell’agricoltura dell’epoca.

L’area geologica dove crescono i vigneti del Boca Doc è molto particolare, a tratti unica, considerando la matrice del terreno nota come “Complesso dei porfidi quarziferi del biellese”, e composta da rocce acide. Le colline del Boca rappresentano la parte terminale del conoide formato dal detrito abbandonato dai ghiacciai del Monte Rosa. Il terreno è roccioso, sassoso e ghiaioso; la presenza massiccia di porfidi rosa di origine vulcanica la si nota con facilità passeggiando tra i sentieri che conducono ai filari. I suoli presentanto un’elevata acidità, con un pH di 4.7, fra i più bassi in assoluto.

Ma torniamo al vino di Boca. In questa antica Doc novarese si può produrre soltanto con uve nebbiolo (chiamato localmente spanna) nella proporzione 70-90%, vespolina e uva rara (chiamata anche bonarda novarese) da sole o congiuntamente dal 10% fino al 30%, e non può essere messo in commercio se non dopo un invecchiamento minimo di 34 mesi, di cui minimo 18 mesi in botti di rovere o di castagno. Le uve devono essere raccolte nella zona di produzione compresa nei comuni di Boca, Maggiora, Cavallirio, Prato Sesia e Grignasco, tutti in provincia di Novara.

Parlando di Boca è impossibile non citare il sistema d’allevamento conosciuto come maggiorina ed esistente da secoli in Alto Piemonte, costituito da tre viti sostenute da otto pali di castagno che si sviluppano ai quattro punti cardinali. L’architetto Alessandro Antonelli perfezionò la campanatura dei pali di sostegno, ottenendo una struttura autoportante molto più resistente ai carichi di uva. Antonelli è tuttora nel cuore dei novaresi, un personaggio e un’artista-icona del territorio; è sua la celebre basilica di San Gaudenzio, simbolo della città di Novara, così come il santuario di Boca, oltre alla celeberrima mole Antonelliana di Torino.

Tornando alle Tenute Guardasole, Marco ci racconta che attualmente gli ettari vitati di proprietà sono all’incirca due, suddivisi in tre vigneti. Il primo è quello storico di famiglia, adiacente al casot, gli altri due distanti pochi chilometri l’un l’altro sulla strada Traversagna che conduce al centro di Boca, per un totale di 9.000 bottiglie annue prodotte e tre etichette. Ho particolarmente apprezzato l’idea di vino che Marco ha in mente, e soprattutto il suo atteggiamento nei confronti del proprio lavoro, secondo una filosofia in parte ereditata da nonno Enrico; alludo soprattutto al fatto di non fermarsi davanti alle difficoltà, e di saper guardare al futuro senza adagiarsi sugli allori.

A tal riguardo ho trovato illuminante l’idea di applicare le reti antigrandine a tutti i filari, scelta poco condivisa in Alto Piemonte nonostante i fenomeni piuttosto intensi che hanno colpito gran parte del territorio negli ultimi anni. Le reti offrono molteplici vantaggi: schermano dai raggi del sole, rendono vita difficile ad ospiti indesiderati quali uccelli o cinghiali, fungono da diffusore per l’acqua derivata dalla pioggia. Marco confessa inoltre che in futuro la sua idea sarà quella di produrre un vino per ogni singola vigna; lo scopo è quello di mostrare le differenze nonostante i pochi chilometri che separano le tre diverse proprietà. In fondo l’Alto Piemonte, un po’ come la Borgogna, possiede queste peculiarità: moltissimi produttori studiano costantemente il territorio e sperimentano in cantina, e in vigna, mediante micro-vinificazioni.

Veniamo adesso agli assaggi effettuati in compagnia di Marco, che intendo ringraziare pubblicamente per la piacevole giornata trascorsa assieme e per l’accoglienza squisita.

Vino Rosso Virgilio 2021

Vigne impiantate nel 1950 (con successivi reimpianti di mantenimento) e situate a 450 metri sul livello del mare, sulla strada Traversagna all’altezza del comune di Grignasco. Terreni di origine vulcanica, con porfido e sfaldature di rocce dolomitiche del Monte Fenera. Esposizione sud – sud ovest. Assemblaggio di uve vespolina 50%, nebbiolo 30 % e dolcetto di Boca (autoctono) 20%. Rese pari a 60 quintali per ettaro. Fermentazione alcolica e macerazione di 20 giorni circa in vasche di acciaio Inox, dove il vino effettua anche la malolattica; affinamento di 18 mesi, di cui 12 in botti di rovere francese. Bottiglie prodotte: 4.200.

Un bel rubino vivido con riflessi granata apre la strada ad un naso dove il sentore di pepe nero – contributo della vespolina – è sussurrato, fine, in levare, mai esuberante. Così come dev’essere, a mio avviso. Si avverte ancora una certa vinosità che ingolosisce parecchio, e la parte floreale ricorda la violetta e il geranio selvatico. Il frutto è suadente e al contempo ricco di acidità, caratteristica che ritrovo spesso nei vini di Marco. Anche la sapidità va a braccetto con il corpo, in un crescendo di sensazioni perlopiù appaganti che richiamano a gran voce l’abbinamento con salumi e formaggi non troppo stagionati; insomma, un vino “pericoloso” a tavola.

Vino Rosso Pio Decimo 2021

Vigna impiantata nel 2012, a 400 metri sul livello del mare; stessa area geografica del vino precedente, medesime rese per ettaro, ma prevalente esposizione a ovest. Prodotto con uve 100% nebbiolo. Fermentazione alcolica e macerazione di 40 giorni circa in vasche di acciaio Inox, dove effettua anche la malolattica; affinamento di 18 mesi in grandi botti di rovere di Slavonia. Bottiglie prodotte: 1.300.

In questo caso lo spanna vinificato in purezza mostra tutte quelle doti che in passato hanno reso celebre il nebbiolo di Boca, e che negli ultimi anni grazie al cielo lo stanno riportando in auge. La trama cromatica è particolarmente luminosa, granata con unghia rubino e buon estratto. Lo avvicino al naso e la mente va al ricordo di tutti quei vini prodotti ai piedi delle Alpi. Detesto fare paragoni, ma farò un’eccezione a favore di tutti coloro che non hanno mai assaggiato un Boca; impossibile dunque non citare la Valtellina: frutti rossi -tra cui ribes e mirtillo rosso-, viola, erbe officinali e grafite. Ma non solo, vi ritrovo alcuni tratti tipici del pinot noir allevato in Borgogna, soprattutto di alcuni Fixin di Pierre Gelin, con incursioni di zagara e toni sulfurei; chiude il cerchio una chiara impronta “bochese” di scorza di arancia sanguinella e pietrisco. Ne assaggio un sorso e avverto l’ombra di un tannino il cui carattere traduce il profilo di un’annata che molto avrà da dire anche in futuro, oltre a un “peso specifico” commisurato alla profondità e alla potenza gustativa. Intendo riassaggiarlo più e più volte anche nei prossimi mesi per comprenderne meglio l’evoluzione, il buon prezzo (tra i 18 e i 22 euro) facilità questa mia ambizione. Risotto al vino Spanna con luganega fresca.

Boca 2020

Per il vino di punta dell’azienda le vigne, impiantate nel 2011, sono ubicate sempre sulla strada Traversagna ma all’altezza del comune di Prato Sesia (No), a circa 490 metri sul livello del mare. L’assemblaggio è composto da nebbiolo 80% e vespolina 20%.  Fermentazione alcolica e macerazione di 30 giorni circa in vasche di acciaio Inox, a seguire malolattica in legno e affinamento di 34 mesi, di cui 30 in grandi botti di rovere. Bottiglie prodotte: 2.000.

Vivo sin dal colore – un bel granato luminoso che tende al rubino -, è prodigo di rimandi legati al territorio, ossia ai porfidi che caratterizzano il Dna di questi vini: scorza di arancia rossa sanguinella, ribes, timo e zagara, toni ferrosi/ematici e pepe nero; dopo lenta ossigenazione escono fuori smalto, grafite e incenso. Grande complessità ed evoluzione, soprattutto trascorsi 15-30 minuti dalla mescita; centro bocca di tutto rispetto, sferzante acidità e sale a dismisura. Tutto ciò si traduce in longevità. L’equilibrio è ancora lontano dal suo apice, guai se non fosse così, è un vino ancora in fasce ma che promette bene. In abbinamento tapolòn, o tapulone, d’asino con polenta bramata, il classico stracotto del novarese, con la ulteriore sottolineatura che la paternità della ricetta appartiene alla cittadina di Borgomanero.

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Contributi fotografici di Danila Atzeni

 

 

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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