I vini del mese e le libere parole. Maggio 2018

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Assieme ai vini i luoghi, e quando i luoghi sono autentici avamposto a cui fai fatica ad associare un tempo, ché quasi il tempo gli appartiene, la suggestione e la potenza evocativa possono fare la differenza. Così è per il castello di Argiano (Montalcino), così è per Fosse-Séche (Saumur).

Eppoi the other side of Nebbiolo, perché il mese di maggio mi ha spinto ad esplorare un po’ più a fondo Nord Piemonte e Valtellina, coinvolgendo lo spirito e le libere parole. Ne è valsa la pena.

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Saumur Blanc Arcane 2015 – Château de Fosse-Séche (Adrien e Guillaume Pire)

fosse-secheRitornare alla terra e al suo ancestrale respiro. A Fosse-Séche, nel Saumorois loirese, questo ed altro. “And I feel like I’ve been here before”, cantava David Crosby nella sua metafisica “Déjà vu”: in un posto così ne avrebbe ben donde.

Giovani consapevolezze e gesti ispirati all’autenticità stanno portando alla luce l’ennesima perla terroiriste, che in questo caso sconta persino una felice anomalia geologica, rispetto alla dominante calcarea costituita dal tuffeau Turonien: un plateau giurassico di silex ricco di ossidi in ferro. Dalle vigne più giovani e da diversi tri di raccolta nasce così Arcane, chenin blanc in purezza, ulteriore dimostrazione di come il bello dell’enologia transalpina abiti a queste latitudini.

arcaneQui è l’attacco sulfureo, la naturale esplicitezza dei frutti a polpa bianca e la prepotente spinta minerale ad annunciare un vino cangiante, teso, salino, di elettiva energia vitale. Fra veracità e portamento, la sua spontaneità muove da un senso innato del territorio. “We have all been here before, we have all been here before……” (sfumando ad libitum).

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Rosso di Montalcino 2016 – Sesti

C’è un’aria speciale, al castello di Argiano, che non me la spiego fino in fondo, eppure c’è. La si respira senza sforzo. Aria da avamposto, che porta a scrutare orizzonti.  Tutto sembra acquistare il giusto peso, riappropriandosi del significato più profondo di levità, di pace interiore, di silenzio. Un isolamento irreale, da che ti senti al centro del mondo.

I guardiani di questo avamposto sono le persone giuste. Te ne accorgi senza sforzo. Sanno guardare oltre per riconoscerne i segni e tramutarli in gesti consapevoli da dedicare a una terra. Assieme al borgo tutto, tornato prepotentemente alla vita, hanno ristabilito i contatti con l’orizzonte.

Ora, non saprei dirvi da quali segnali del cielo discenda il Rosso di Montalcino 2016 di Giuseppe ed Elisa Sesti. Non li so spiegare, non li conosco. So soltanto che poterlo condividere con gli amici è stata un’esigenza. Quella sera ha parlato solo lui. Senza sforzo.

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Sassella Valtellina Superiore Grisone 2012 – Alfio Mozzi

E’ il Nebbiolo nudo di montagna ciò di cui avevo bisogno, quello di matrice più squisitamente artigianale. Avevo già incrociato in precedenza, secondo i crismi della casualità, i vini di Alfio Mozzi. E’ stato semplice immaginare un reincontro, meno agevole casomai provvedere al reperimento.

Lo devo quindi ad una enoteca seria, la cui selezione non è stata oltraggiata dall’ovvietà, se sono arrivato a Grisone 2012, un Sassella ben sintonizzato sulle frequenze della naturalezza espressiva, senza il filtro di un rovere che in certe edizioni mi era apparso più leggibile e intrusivo. Liberatosi da quel velo, è una grande profondità minerale a conquistarti, e un incedere fresco, sciolto, impettito, senza ridondanza alcuna, il cui garbo e la cui saldezza consentono al vino di gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Rilascia un senso di leggiadria e di profondità, e candore di frutto, e spezie fini, e risvolti di carne affumicata. Cambia molto nel bicchiere, senza per questo perdere la sua essenza. Ci parla di levità, e di una ricchezza solo interiore. Questo fa.

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Boca Vigna Cristiana 2000 – Podere ai Valloni

Ispirato dal recente reportage scritto su L’AcquaBuona dall’amico e collaboratore Paolo Rossi, che ha preso a tema l’Alto Piemonte ed i suoi protagonisti, ho còlto l’occasione per condividere fra amici un vecchio Boca della famiglia Sertorio. Così, per chiudere in bellezza una parentesi emozionale in cui sentivo il bisogno di esplorare un’altra dimensione del Nebbiolo piemontese, quella claustrale e affilata tipica del novarese, dimensione di “frontiera”.

Sì, è vero, di non solo nebbiolo si costituisce Vigna Cristiana, fedele a una tradizione che è solita far confluire nel Boca anche vespolina e bonarda, ma il tempo e l’evoluzione ne hanno denudato il carattere facendo brillare il didentro, che passa oltre la costituzione varietale per puntare dritto all’essenza.

Sapete che c’è? C’è che questo piccolo grande Boca celebra la terra, e assieme alla terra una bellezza che sola attiene alla diversità. Nulla che ecceda qui: non l’alcol, non il corpo, non l’estrazione tannica. E’ un sorso vitale di asciutta fermezza e snella profilatura, solcato da una fine speziatura e da una decisa impronta pietrosa, un afflato quasi vulcanico che ne innerva la trama concedendogli il privilegio della distinzione.

E’ affusolato, longilineo, orgogliosamente austero, sorretto da un’acidità fremente: si beve di slancio, lo scheletro della terra.

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Nella prima immagine “Uomo che beve”, di Armando Pelliccioni, pittore di strada bolognese.

FERNANDO PARDINI

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